IL MARITO CHE SPARGE LA VOCE DI ESSERE STATO TRADITO, PUO’ ESSERE CONDANNATO PER DIFFAMAZIONE?

Il marito che racconta in giro del presunto tradimento della moglie paga i danni

Nella determinazione del quantum risarcitorio non si tiene conto delle condizioni economiche del danneggiante

Il marito che sparge la voce “mia moglie mi ha tradito” può essere condannato per diffamazione?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6629/2018 ha confermato la condanna di un uomo al risarcimento di 25 mila euro alla sua ex moglie per il danno morale arrecatole per aver diffuso la notizia che la stessa intratteneva una relazione extraconiugale, così diffamandola.

L’art. 595 c.p. dispone che:

“Chiunque, fuori dai casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 1.032 euro.

Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a 2.065 euro.

Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a 516 euro.

Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate”.

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Il marito che nutre il sospetto che la moglie lo tradisca deve stare molto attento alle parole che usa anche per sfogarsi con un amico. Se si lascia andare in epiteti offensive e screditanti, andrà in contro ad una condanna per diffamazione, oltre, in via civile, ad una richiesta di risarcimento danni.

Nel caso in esame, un uomo era indagato per aver parlato, con alcuni amici, di un presunto tradimento da parte dell’ex moglie.

La Corte aveva dichiarato inammissibile il ricorso presentato dal marito. L’infedeltà della donna non era masi stata accertata dal giudice, il quale ha in ogni caso sottolineato un ulteriore aspetto importante della vicenda: nella determinazione del quantum risarcitorio non rilevano in alcun modo le condizioni economiche del danneggiante.

Secondo gli Ermellini, infatti, il parametro per individuare il danno risarcibile

“non può essere oggettivo, id est non variante a seconda del soggetto autore della condotta dannosa”.

Sostanzialmente, a prescindere da quale sia il tenore di vita del danneggiante, il danno alla reputazione deve essere adeguatamente risarcito.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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