QUANDO IL PROFESSIONISTA PUO’ PRESENTARE AL CLIENTE UNA NUOVA E PIU’ ELEVATA PARCELLA?

Se il professionista fa lo sconto bisogna approfittarne prima che cambi idea

Analizziamo la sentenza n. 2575 del 2 febbraio 2018 della Corte di Cassazione Civile, sez. II

Certe offerte devono essere colte al volo, come affermato anche dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2575/2018, in un caso in cui ad aver fatto uno sconto sulla parcella era stato un professionista; sconto che successivamente era stato disattivato.

È lecito che in un primo momento il professionista presenti al cliente una parcella conforme ai minimi tabellari, e successivamente invece richieda un pagamento maggiore sulla base di una nuova parcella, riferita sempre alla stessa prestazione?

A tale domanda hanno risposto gli Ermellini con la sentenza in commento.

Il caso:

Nel caso sottoposto all’attenzione della Corte di Cassazione, un’associazione di dottori commercialisti, aveva convenuto in giudizio, innanzi al Tribunale di Massa, una società per azioni, al fine di farla condannare al pagamento della parcella dovuta, per lo svolgimento di un incarico professionale riguardante la consulenza e l’assistenza nel compimento di un’operazione societaria.

La questione fondamentale, oggetto della diatriba, riguarda l’importo della parcella dovuta.

La Corte d’Appello aveva riconosciuto allo studio professionale i massimi di tariffa, tenendo in considerazione della natura, del valore della prestazione, il risultato economico conseguito ed i vantaggi percepiti dal cliente.

Era stata applicata una maggiorazione ex art. 6, comma 1 della tariffa professionale, pari al 50% ed una riduzione del 20% in base all’art. 15 della tariffa, perché l’attività professionale era stata svolta in concorso con altri professionisti.

Con il quinto motivo viene denunciata la violazione degli articoli 2233 del codice penale e dell’articolo 115 del codice di procedura civile, e il mancato esame di una lettera contenente la determinazione del compenso per l’attività professionale svolta.

L’articolo 2233 c.c. dispone che:

“Il compenso, se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice. In ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione. Sono nulli, se non redatti in forma scritta, i patti conclusi tra gli avvocati ed i praticanti abilitati con i loro clienti che stabiliscono i compensi professionali”.

L’articolo 115 c.p.c. dispone invece:

“Salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero nonché i fatti non specificamente contestati dalla parte costitutiva. Il giudice può tuttavia, senza bisogno di prova, porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza”.

Gli Ermellini, ritenendo il documento di carente decisività, sottolineano che la parcella non è vincolante, a meno che questa sia stata accettata dal cliente e sia compatibile con un precedente accordo.

Pertanto, il professionista ha la possibilità di presentare al suo cliente una nuova parcella maggiorata ma sempre in conformità con i minimi tabellari.

I giudici di legittimità hanno disposto che:

“qualora il professionista, dopo aver presentato al proprio cliente una parcella per il pagamento dei compensi spettanti, redatta in conformità ai minimi tabellari, richieda, successivamente, per le stesse  attività un pagamento maggiore sulla base di una nuova parcella, il giudice di merito, richiesto della liquidazione, salva l’ipotesi in cui la prima parcella abbia carattere vincolante in quanto conforme ad un pregresso accordo o espressamente accettata dal cliente, ben può valutare se esistono elementi che facciano ritenere giustificata e legittima la maggiore richiesta”.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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