OFFESE IN CHAT

QUANDO OFFENDERE UN COMPONENTE DI UNA CHAT DI GRUPPO WHATSAPP E’ REATO


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Offendere un membro di un gruppo Whatsapp inviando messaggi lesivi della sua reputazione, può integrare il reato di diffamazione e non un’ingiuria (ormai depenalizzata con d.lgs. n. 7/2016 conv. il l. 15.1.2016, n. 7) anche se l’offeso è un partecipante.

Sul punto si è recentemente espressa la Corte di Cassazione, sez. penale, n. 28675/2022.

La diffamazione è disciplinata dall’art. 592 c.p. ed è integrata da chiunque, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione.

La citata pronuncia è interessante in quanto ciò che distingue la diffamazione dall’ingiuria, ad oggi non più reato ma illecito civile, risiede nell’assenza dell’offeso.

In sostanza, rispetto all’ingiuria, per aversi diffamazione, la condotta dell’offendere, deve essere rivolta verso persone non presenti e dunque non solo assenti fisicamente, ma anche non in grado di percepire l’offesa.

Dunque, ciò che rende interessante la pronuncia in esame, consiste nel fatto che nel gruppo whatsup, l’offeso è presente e dunque potenzialmente in grado di percepire la lesione alla propria reputazione, dignità ed onore e, pertanto, logicamente, si potrebbe supporre che la fattispecie riguardi l’ingiuria non la diffamazione. Ma la questione è più complessa.

Nel fatto sotteso alla pronuncia dellala Corte di Cassazione, sez. penale, n. 28675/2022 , accadeva che in un gruppo whatsup, un partecipante avesse inoltrato diversi messaggi e audio dal contenuto palesemente offensivo nei confronti di un altro partecipante, che veniva in sostanza accusato, di non essere in grado di accudire un cucciolo di cane. Avendo subito una condanna in grado di appello, l’imputata proponeva ricorso per Cassazione, dogliandosi dei vizi di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d) e e) eccependo che, dalla lettura della chat, si evincerebbe che la persona offesa aveva immediatamente replicato alle offese pronunziate nei suoi confronti e dunque argomentava che il Giudice di secondo grado, avrebbe dovuto pronunciare sentenza assolutoria, trattandosi di ingiuria e non di diffamazione.

Nel respingere il ricorso, gli Ermellini hanno illustrato, richiamando la sentenza emessa dalla medesima sezione, n. 13252 del 04/03/2021, Viviano, Rv. 280814, che

l’offesa diretta a una persona “distante” costituisce ingiuria solo quando la comunicazione offensiva avviene, esclusivamente, tra autore e destinatario. Se la comunicazione “a distanza” è indirizzata ad altre persone oltre all’offeso, si configura il reato di diffamazione”.

I Giudici di Piazza Cavour hanno specificato che anche se il concetto di “presenza” non implica solo la presenza fisica, ma anche quella “virtuale” rispetto ai moderni sistemi di comunicazione, occorre valutare caso per caso.

E dunque,

se l’offesa viene profferita nel corso di una riunione “a distanza” (o “da remoto”), tra più persone contestualmente collegate, alla quale partecipa anche l’offeso, ricorrerà l’ipotesi della ingiuria commessa alla presenza di più persone (fatto depenalizzato) (come deciso da Sez. 5, n. 10905 del 25/02/2020, Sala, Rv. 278742). Di contro, laddove vengano in rilievo comunicazioni (scritte o vocali), indirizzate all’offeso e ad altre persone non contestualmente “presenti” (in accezione estesa alla presenza “virtuale” o “da remoto”), ricorreranno i presupposti della diffamazione” (conf. Sez. 5, n. 29221 del 06/04/2011, De Felice, Rv. 250459; Sez. 5, n. 44980 del 16/10/2012, Nastro, Rv. 254044; Sez. 5 n. 12603 del 02/02/2017, Segagni; Sez. 5, n. 34484 del 06/07/2018, Badalotti; Sez. 5., n. 311 del 20/09/2017, dep. 2018, Orlandi; Sez. 5, n. 14852 del 06/03/2017, Burcheri).

Dunque, considerato che la chat di gruppo di whatsapp consentono l’invio contestuale di messaggi a più persone, che possono riceverli e leggerli immediatamente o in tempi differiti, bisogna valutare se la vittima ha una percezione contestuale all’invio del messaggio o meno.

Così, nel primo caso si configurerà un’ ingiuria aggravata dalla presenza di più persone, perché la persona offesa dovrà ritenersi virtualmente presente, nel secondo caso invece si configurerà il reato di diffamazione, in quanto la vittima dovrà essere considerata assente.

Bisogna quindi indagare se la persona offesa ha o meno percepito in tempo reale l’offesa.

Nella fattispecie oggetto della sentenza in esame, la vittima, pur inizialmente rispondendo in modo contestuale all’invio dei messaggi offensivi, successivamente ometteva di rispondere. Tale dato, spingeva quindi la Magistratura a ritenere che, dopo aver inizialmente partecipato, la persona offesa rinunciava a partecipare al contraddittorio, leggendo solo successivamente i messaggi offensivi.

L’autore dei messaggi invece, continuava ad inviare le comunicazioni insultanti, anche se la vittima aveva cessato di rispondere.

Dunque, si configurerà il reato di diffamazione allorquando le comunicazioni siano indirizzate all’offeso e ad altri partecipanti al gruppo di messaggistica, che non possano essere considerate contestualmente “presenti” (in senso “virtuale“) e dunque quando i messaggi lesivi della reputazione sono ricevuti in tempi differenti.

Scarica il testo della sentenza al seguente link

Corte di Cassazione n. 28675_2022