UTILIZZO DEL VELO NEL POSTO DI LAVORO

Velo e posto di lavoro

La Corte di Giustizia UE, sez. Grande, con la sentenza n. C-157/15 del 14 marzo 2017 ha stabilito che vietare il velo sul posto di lavoro non costituisce discriminazione

Se il datore di lavoro vieti di indossare segni visibili che esprimano qualsiasi ideologia politica, filosofica o religiosa, ciò non rappresenta una discriminazione diretta.

La Corte di Giustizia europea, pronunciatasi su die fattispecie inerenti al diritto di indossare il velo islamico sul posto di lavoro, ha disposto che, contrariamente, tale regola può costituire una discriminazione indiretta, nel caso in cui venga fornita la prova che, ciò comporti un particolare svantaggio per gli individui che aderiscono ad una determinata ideologia o religione.

Tale discriminazione indiretta può essere giustificata in maniera oggettiva da una finalità legittima, quale il perseguimento, da parte del datore di lavoro, di un indirizzo di neutralità politica, filosofica e religiosa, nei rapporti con i clienti, ed a condizione che gli strumenti impiegati per il conseguimento di tale scopo siano appropriati e necessari.

Una delle due fattispecie in esame, vedeva una donna di fede mussulmana, impiegata come receptionist dal 2003 presso un’impresa privata. Una regola interna, non formalizzata, poneva divieto ai prestatori, di indossare sul posto di lavoro, segni che manifestassero ideologie di natura politica, filosofica o religiosa.

Nel 2006 la donna aveva comunicato al datore di lavoro di voler indossare il velo islamico sul luogo di lavoro, durante l’orario della prestazione. La direzione dell’impresa le comunicò che tale decisione non era approvata, in quanto indossare segni che manifestano determinate ideologie, era in contrasto con la politica aziendale.

Durante le settimane successive, il comitato aziendale aveva modificato il regolamento interno, formalizzando il divieto. Il giorno seguente all’entrata in vigore di detto regolamento, e nonostante la perdurante condotta della donna, questa veniva licenziata.

La questione era approdata innanzi alla giustizia belga e la stessa Corte aveva adito la Corte europea, ponendo il quesito se il divieto di indossare un velo islamico, derivante da una norma interna, in un contesto aziendale, potesse rappresentare una discriminazione diretta.

La Corte ha sostenuto che la norma interna si riferisce alla circostanza di indossare segni che esteriorizzano convinzioni politiche, filosofiche o religiose e, concerne ogni manifestazione di dette convinzioni, senza alcuna distinzione; inoltre detta regola veniva applicata indistintamente a tutti i dipendenti.

La disposizione interna non implica alcuna disparità di trattamento direttamente fondata sulla religione o sulle condizioni personali, ai sensi della Direttiva.

Ciò che emerge dalla decisione della Corte è che nella Direttiva UE per principio di parità di trattamento si intende l’assenza di ogni discriminazione diretta o indiretta, fondata sulla religione.

La Corte ha chiarito che risulta:

“Legittima la volontà di un datore di lavoro di mostrare ai suoi clienti, sia pubblici sia privati, un’immagine di neutralità, in particolare qualora siano coinvolti soltanto i dipendenti che entrano in contatto con i clienti. Tale intenzione infatti, rientra nell’ambito della libertà di impresa, riconosciuta dalla Carta”.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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