UN CASO DI REATO DI RICETTAZIONE

Inserire la propria sim in un cellulare di possibile provenienza illecita integra il reato di ricettazione

Corte di Cassazione, seconda sezione penale, sentenza n. 27927 del 2019

La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, ha chiarito che chiunque inserisca la propria sim su un telefono cellulare di dubbia provenienza risponde di ricettazione ex art. 648 del codice penale.

L’articolo in questione, nel disciplinare il reato di ricettazione dispone quanto segue:

“Fuori dei casi di concorso nel reato, chi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque si intromette nel farle acquistare, ricevere od occultare, è punito con la reclusione da due ad otto anni e con la multa da 516 euro a 10.329,00 euro. La pena è aumentata quando il fatto riguarda denaro o cose provenienti da delitti di rapina aggravata ai sensi dell’articolo 628, terzo comma, di estorsione aggravata ai sensi dell’articolo 629, secondo comma, ovvero di furto aggravato ai sensi dell’articolo 625, primo comma, n. 7-bis).

La pena è della reclusione sino a sei anni e della multa sino a 516 euro, se il fatto è di particolare tenuità.

Le disposizioni di questo articolo si applicano anche quando l’autore del delitto, da cui il denaro o le cose provengono, non è imputabile o non è punibile ovvero quando manchi una condizione di procedibilità riferita a tale delitto”.

Nel caso di specie sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello avevano ritenuto colpevole l’imputato per il delitto di ricettazione di un telefono cellulare.

Nel ricorrere in Cassazione si lamenta violazione di legge in riferimento agli artt. 43 e 648 c.p. in relazione alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di ricettazione, in mancanza degli indici necessari per ravvisare il dolo eventuale nell’acquisto di un cellulare effettuato con un atteggiamento di mera indifferenza circa la possibile natura illecita dello stesso.

Con il secondo motivo si deduce invece il vizio di motivazione circa l’accertamento dell’elemento soggettivo del delitto di ricettazione desunto dall’utilizzo di una scheda sim intestata all’imputato, trattandosi di una condotta indicativa dell’assoluta buona fede dello stesso attesa la notoria facilità nel risalire agli estremi della scheda in qualsiasi telefono venga inserita.

Gli Ermellini, intervenuti sulla questione hanno dichiarato infondati i motivi di ricorso, richiamando il costante orientamento giurisprudenziale secondo cui:

“L’imputato trovato nella disponibilità di refurtiva di qualsiasi natura, e quindi anche di telefoni cellulari, in assenza di elementi probatori indicativi della riconducibilità del possesso alla commissione del furto e ove non fornisca una spiegazione attendibile dell’origine del possesso, risponde del delitto di ricettazione, poiché la mancanza di giustificazione costituisce prova della conoscenza dell’illecita provenienza della res, in quanto sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede”.

Detta conclusione non rappresenta una deroga ai principi in materia di onere della prova, né tanto meno incide sulle prerogative difensive, in quanto è la medesima struttura della fattispecie incriminatrice che richiede, ai fini dell’indagine sulla consapevolezza circa la provenienza illecita della res, il necessario accertamento sulle modalità acquisitive della stessa.

Inoltre:

“Il dolo di ricettazione si atteggia nella forma del dolo eventuale quando l’agente ha consapevolmente accettato il rischio che la cosa acquistata o ricevuta fosse di illecita provenienza, non limitandosi ad una semplice mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della cosa, situazione ravvisabile quando l’agente, rappresentandosi l’eventualità della provenienza delittuosa della cosa, non avrebbe agito diversamente anche se di tale provenienza avesse avuto la certezza”.

La fattispecie della ricettazione di cellulari concerne beni che

“pur se di uso comune, costituiscono in ogni cado una res potenzialmente di apprezzabile valore, non necessariamente acquistabile ricorrendo ai canali ufficiali, ma che nulla induce a ritenere poter essere scambiata con disinteresse tale da non consentire all’avente causa di ricordare le modalità dell’acquisto e l’identità del dante causa”.

Nel caso in cui la disponibilità del telefono da parte dell’imputato sia indubbia, emergendo dalle numerose telefonate effettuate, con il contestuale utilizzo di una SIM a lui intestata, tale circostanza non è sintomatica della sua buona fede, dato che la normativa nazionale vigente non permette il rilascio di schede telefoniche anonime.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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