TI NOTIFICANO UN AVVISO DI ACCERTAMENTO E VENDI TUTTO?

Chi aliena tutti i beni di sua proprietà dopo un avviso di accertamento incorre nel reato di sottrazione fraudolenta?

Corte di Cassazione, terza sezione penale, sentenza n. 29636 del 2018

La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento ha specificato che

“l’idoneità degli atti ad eludere l’esecuzione esattoriale non può ritenersi di per sé sufficiente a riconoscere sia la natura ingannatoria o artificiosa degli atti, sia l’esistenza del dolo specifico richiesto dalla norma”.

La norma in questione è l’art. 11 del D.lgs. n. 74 del 2000, che in materia di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte dispone quanto segue:

“1. E’ punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Se l’ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi è superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni.

2. E’ punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di ottenere per sé o per altri un pagamento parziale dei tributi e relativi accessori, indica nella documentazione presentata ai fini della procedura di transazione fiscale elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi per un ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila. Se l’ammontare di cui al periodo precedente è superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni”.

Nel caso in questione, un uomo in seguito alla ricezione di alcuni avvisi di accertamento aveva alienato tutti i beni mobili ed immobili di sua proprietà, spogliandosi completamente di tutti i suoi averi. Per tale ragione, sia il Tribunale di Pordenone che la Corte d’Appello di Trieste lo avevano condannato per la violazione dell’art. 11 del D.Lgs n. 74 del 2000 alla pena di un anno di reclusione.

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La materia in questione precedentemente disciplinata con il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 97, introdotto dalla L. n. 413 del 1991, sanzionava, con la reclusione fino a tre anni, il contribuente che, per non pagare le imposte dovute all’erario, aveva compiuto, successivamente all’inizio degli accessi, ispezioni e verifiche o in seguito alla notificazione degli inviti e delle richieste previsti dalle singole leggi di imposta, ovvero erano stati notificati atti di accertamento o iscrizioni a ruolo, atti fraudolenti sui propri o su altrui beni che avevano reso in tutto o in parte inefficace la relativa esecuzione esattoriale.

Raffrontando la nuova disciplina con la vecchia, si è potuto notare come nella previsione dell’art. 11 del d.lgs. 74/2000 non vi sia più alcun riferimento alla necessità dell’effettivo avvio di un qualsiasi accertamento fiscale, essendo ora sufficiente che l’azione sia idonea a rendere inefficace l’esecuzione esattoriale, configurandosi dunque la fattispecie in termini di reato di pericolo concreto.

L’art. 11 del D.Lgs. n. 74/2000 al suo interno menziona, assieme agli atti fraudolenti l’alienazione simulata.

Ma che cosa si intende per “alienazione simulata”?

La Corte di Cassazione ha affermato che:

“l’alienazione può definirsi “simulata”, ossia finalizzata a creare una situazione giuridica apparente diversa da quella reale, allorquando il programma contrattuale non corrisponde deliberatamente in tutto o in parte all’effettiva volontà dei contraenti, con la conseguenza che, ove invece il trasferimento del bene sia effettivo, la relativa condotta non può essere considerata alla stregua di un atto simulato, ma deve essere valutata esclusivamente quale possibile atto fraudolento”.

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Che cosa si intende per “atti fraudolenti “?

La Corte precisa che per “atti fraudolenti” devono intendersi evidenziarsi che, secondo un ormai consolidato indirizzo ermeneutico (Sez. 3, n. 25677 del 16/05/2012, Rv. 252996), devono ritenersi tali “tutti quei comportamenti che, quand’anche formalmente leciti, siano tuttavia connotati da elementi di inganno o di artificio, dovendosi cioè ravvisare l’esistenza di uno stratagemma tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali all’esecuzione.”

Pertanto affinché si configuri il reato

“non è sufficiente la semplice idoneità dell’atto a ostacolare l’azione di recupero del bene da parte dell’Erario, essendo invece necessario il compimento di atti che, nell’essere diretti a questo fine, si caratterizzino per la loro natura simulatoria o fraudolenta. La necessità di individuare questo quid pluris nella condotta dell’agente è stata di recente sottolineata anche dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 12213 del 21/12/2017, Rv. 272171) che, nell’ambito di una più ampia riflessione sul concetto di atti simulati o fraudolenti di cui all’art. 388 cod. pen., norma il cui schema risulta richiamato dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, hanno affermato che sarebbe in contrasto con il principio di legalità una lettura della norma che facesse coincidere il requisito della natura fraudolenta degli atti con la loro mera idoneità alla riduzione delle garanzie del credito, per cui in quest’ottica può essere ritenuto penalmente rilevante solo un atto di disposizione del patrimonio che si caratterizzi per le modalità tipizzate dalla norma, non potendosi in definitiva far coincidere la natura simulata dell’alienazione o il carattere fraudolento degli atti con il fine di vulnerare le legittime aspettative dell’Erario”

Dott.ssa Benedetta Cacace


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