SULLA PROSTITUZIONE IN RETE

Pubblicizzare sul proprio sito internet, a carattere pornografico, l’attività di alcune ragazze, indicando anche le prestazioni offerte ed i relativi numeri di telefono, costituisce reato.

Il reato  di cui all’ art. 3, comma 5 della L. n. 75 del 1958 si concretizza non soltanto quando si induca una donna alla prostituzione per la prima volta, ma, anche quando si rafforza la sua determinazione a fare commercio del proprio corpo.

Corte di Cassazione, terza sezione penale, sentenza n. 16292 del 2018

L’art. 3, comma 5 della L. n. 75 del 1958, punisce chiunque compia atti di lenocinio, sia personalmente in luoghi pubblici o aperti al pubblico, sia a mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità. Con tale norma, il legislatore ha, inteso incriminare talune forme specifiche di invito al libertinaggio consistente nel favorire consapevolmente, vuoi sotto forma di attività di intermediazione, vuoi con l’induzione diretta, la prostituzione.

Nel caso di specie la Corte d’Appello aveva confermato la condanna di un uomo per il reato previsto dall’art. 3, comma 5 della L. n. 75 del 1958, per aver indotto alla prostituzione alcune ragazze, pubblicizzando sul suo sito internet, a carattere pornografico, la loro attività, indicando anche le prestazioni offerte ed i relativi numeri di telefono.

L’imputato, avverso tale decisione, aveva proposto ricorso in Cassazione sostenendo che la maggior parte delle inserzioni pubblicitarie venivano inserite nel sito web direttamente dagli utenti e non dall’amministratore del sito. L’uomo aveva sottolineato che in tali casi il solo rapporto contrattuale tra chi pubblica l’inserzione e chi ne richiede la pubblicazione non implica alcuno sfruttamento della prostituzione.

Secondo gli Ermellini, la Corte territoriale aveva correttamente ritenuto che rientrasse nell’alveo del reato ex art. 3, comma 5 della L. n. 75 del 1958 l’attività posta in essere dall’imputato, concretizzatasi nell’aver ricercato, le ragazze che invitava al libertinaggio adoperandosi per l’inserimento degli annunci promozionali sul proprio portale web e nell’aver cooperato concretamente ad allestirne la pubblicità interessandosi, alle foto delle donne da pubblicare, che aveva scattato lui stesso od avvalendosi dell’attività di un suo collaboratore.

Il reato in questione si concretizza non soltanto quando si induca una donna alla prostituzione per la prima volta, ma, anche quando si rafforza la sua determinazione a fare commercio del proprio corpo.

Inoltre, il fatto che il ricorrente avesse sostenuto di non essere consapevole dell’illiceità della sua condotta di intermediatore nell’attività di prostituzione, configura un errore di diritto, e di conseguenza, essendo la conoscenza della legge penale presunta ex art. 5 c.p., (“Nessuno può invocare a propria scusa l’ignoranza della legge penale”)  nessuna rilevanza può assumere la mancata consapevolezza dell’antigiuridicità del fatto in relazione all’elemento soggettivo del reato.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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