QUANDO MAIL E SMS FANNO PIENA PROVA IN GIUDIZIO

Mail ed sms fanno piena prova in giudizio?

Corte di Cassazione, prima sezione civile, sentenza n. 1955 del 2019

Nel caso di specie il Tribunale, pronunciatosi in una controversia riguardante un’opposizione promossa dal padre del minore nei confronti della madre dello stesso, avverso decreto ingiuntivo emesso alcuni anni prima con il quale si era ingiunto, al primo, di pagare, alla seconda una somma di denaro a titolo di rimborso delle spese straordinarie sostenute da quest’ultima nell’interesse del figlio minore, nato dalla loro relazione sentimentale, quale contributo ulteriore, oltre al già versato assegno da parte del padre di 250 euro mensili, per le rette dell’asilo nido; aveva in accoglimento dell’opposizione revocato il decreto ingiuntivo.

Nel rigettare l’opposizione a decreto ingiuntivo i giudici hanno sostenuto che dagli “sms” prodotti dalla donna, inviatigli dall’ex compagno, emergeva l’adesione di quest’ultimo all’iscrizione del minore all’asilo nido ed all’accollo da parte sua della metà della retta dovuta, accordo in ogni caso corrispondente all’interesse del minore.

Il ricorrente, nell’adire la Cassazione lamenta la violazione ed errata applicazione degli artt. 2702 e 2712 c.c. per avere il Tribunale riconosciuto efficacia probatoria, quale scrittura privata a tre messaggi telefonici riprodotti meccanicamente, attribuendoli a lui, quale presunto autore, pur essendo privi di sottoscrizione e del numero di cellulare del soggetto che li aveva inviati e del soggetto che li aveva ricevuti.

Gli Ermellini, intervenuti per dirimere la controversia hanno rammentato che come precedentemente sottolineato con la sentenza n. 514172019:

“lo short message service (sms) contiene la rappresentazione di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti ed è riconducibile nell’ambito dell’art. 2712 c.c., con la conseguenza che forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne contesti la conformità ai fatti o alle cose medesime. Tuttavia, l’eventuale disconoscimento di tale conformità non ha gli stessi effetti di quello della scrittura privata previsto dall’art. 215, comma 2, c.p.c. poiché, mentre, nel secondo caso, in mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo della stessa, la scrittura non può essere utilizzata, nel primo non può escludersi che il giudice possa accertare la rispondenza all’originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni”.

Invece, con la sentenza n. 11606/2018 la Corte ha affermato, in tema di efficacia probatoria dei documenti informatici, che:

“il messaggio di posta elettronica costituisce un documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti che, seppure privo di forma, rientra tra le riproduzioni informatiche e le rappresentazioni meccaniche di cui all’art. 2712 c.c. e pertanto, forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne disconosca la conformità ai fatti o alle cose medesime”.

Il disconoscimento idoneo a far perdere la qualità di prova deve essere chiaro, circostanziato ed esplicito, dovendosi concretizzare nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra la realtà fattuale e la realtà riprodotta.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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