IL POST CHE OFFENDE I FIGLI DELL’AVVOCATO EQUIVALE A DIFFAMAZIONE DEL LEGALE

Si configura il reato di diffamazione a mezzo di strumenti telematici qualora i commenti diffamatori, pubblicati con un post su Facebook, possano, seppur in assenza dell’indicazione di nomi, riferirsi oggettivamente ad una specifica persona, anche se detti commenti siano di fatto indirizzati verso i suoi familiari.

Così ha concluso la V Sezione della Corte di Cassazione, che ha emesso la sentenza n. 101/18, depositata il 3 gennaio, sul ricorso proposto avverso la sentenza del 14/10/2016 della Corte Appello di Lecce che confermava la condanna, emessa dal Tribunale di Lecce per il reato di diffamazione a mezzo strumenti telematici.

I Giudici affermano che

la riferibilità del commento alla parte offesa sia indubitabile, poiché, pur non essendo questa nel testo indicato per nome, gli ulteriori dati forniti portavano a facile sua identificazione, come in concreto avvenuto”.

Tale sentenza si inserisce nel filone giurisprudenziale che ha espressamente riconosciuto la possibilità che il reato di diffamazione possa essere commesso tramite internet, configurando la diffusione a mezzo Facebook l’ipotesi aggravata di cui al comma 3 dell’art. 595 c.p..

Infatti, si tratta di una condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di soggetti. L’aggravante trova la sua ratio nell’idoneità del mezzo utilizzato a determinare una rapida pubblicizzazione e diffusione (Cass. Penale, sez. I, sent. 24431/2015 e Cass. penale, sez. V, sent. 8328/2015).

In tema di prova del reato, risalente giurisprudenza già affermava che

“la persona cui è diretta l’offesa, seppur non necessariamente indicata nominativamente, deve essere individuabile agevolmente e con certezza” (Cass. pen., sez. VI, sent. 24 aprile 1972).

V. anche

In particolare, nell’ipotesi di messaggi non diretti alla persona offesa o nei quali non è citata, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che la riferibilità soggettiva del messaggio diffamatorio può desumersi da circostanze di fatto, come ad esempio i pregressi e burrascosi rapporti lavorativi intercorsi tra le parti.

Come nella sentenza, analizzata, anche la non menzione del nome dell’offeso, ma l’utilizzo di espressioni, qualità e qualifiche a lui riferibili, è sufficiente ai fini probatori.

Avv. Silvia Zazzarini


VUOI RIMANERE SEMPRE AGGIORNATO? ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER