Limiti di operatività dell’art. 2112 Codice Civile

Quali sono i limiti di operatività dell’art. 2112 del Codice Civile in caso di subentro nell’appalto.

Il provvedimento analizzato con il presente scritto inerisce i limiti di operatività e applicabilità di cui all’art. 2112 c.c., anche alla luce della giurisprudenza comunitaria formatasi sul punto.


Il caso in esame

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24972/2016, è intervenuta a fronte del ricorso promosso dai lavoratori di una società cooperativa alla quale non era stato rinnovato il contratto d’appalto.

Quest’ultimo era stato in seguito assegnato ad una diversa società ed i lavoratori hanno azionato quanto disposto dall’art. 2112 c.c. con lo scopo di veder riconosciuto il diritto di continuare alle dipendenze di questo nuovo soggetto, con le medesime condizioni contrattuali precedentemente godute.

La decisione della Corte offre notevoli spunti di riflessione descrivendo con estrema precisione gli sviluppi interpretativi dalla stessa operati nel corso degli anni.

Il Collegio ricorda, ad esempio, la consolidata giurisprudenza che ha riconosciuto l’applicabilità dell’art. 2112 c.c. anche alla luce di un sistema bifasico come quello che si può creare quando il complesso organizzato dei beni dell’impresa viene trasferito ad un diverso titolare. Tutto questo a prescindere da un rapporto diretto tra imprenditore uscente ed entrante ( vedi: Cass. 11918/2013; 8460/2011; 5780/2009; 21023/2007; 493/2005; 8054/2004; 13949/2003; 26215/2006; 493/2005; 15468/2000; 14568/1999).

Ciò nonostante, ritornando al caso in esame, una siffatta interpretazione richiede pur sempre un qualche diretto rapporto contrattuale tra cedente e cessionario. Circostanza che non si è riscontrata rispetto agli elementi fattuali della controversia.

Inoltre, ai fini dell’individuazione dell’operatività dell’art. 2112 c.c. si devono tenere a mente due ulteriori condizioni:

> il passaggio di beni deve essere caratterizzato da una sua non trascurabile entità, tale da rendere possibile lo svolgimento di una specifica impresa;

> il trasferimento deve riguardare beni nella loro funzione unitaria e strumentale in quanto destinati all’esercizio dell’impresa.

Ad una siffatta interpretazione si giunge anche tenendo in considerazione la definizione che fornisce il codice civile alla nozione di ditta (vedi art. 2555 c.c.).


Deroga ai principi generali

Gli Ermellini, proseguendo la loro analisi hanno certamente evidenziato una sorta di deroga ai principi sopra richiamati: nell’eventualità in cui il trasferimento riguardi unicamente lavoratori.

Nel caso in esame, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto applicabile l’art. 2112 c.c., ma solo se di fronte ad una cessione avente ad oggetto un gruppo di dipendenti stabilmente coordinati ed organizzati tra loro, la cui autonoma capacità operativa sia assicurata dal fatto di essere dotati di un particolare know how.

Quanto esposto sul punto chiarisce, pertanto, come la mera assunzione dei lavoratori in caso di cambio di soggetto appaltatore non comporti l’applicazione dell’art. 2112 c.c..

Rileva, infatti, quanto statuito dall’art. 29, comma 3, decreto legislativo n. 276/2003[1] quale causa ostativa alla summenzionata applicazione dell’art. 2112 c.c..


Riferimenti alla giurisprudenza comunitaria

Gli Ermellini, da parte loro, ancorano la sentenza in analisi all’evoluzione della giurisprudenza comunitaria formatasi sul punto, evidenziando come la stessa Corte di Giustizia abbia più volte chiarito che l’azienda va intesa come: un complesso organizzato di persone e di elementi che consenta l’esercizio di un’attività economica finalizzata a perseguire un determinato obiettivo e sia sufficientemente strutturata ed autonoma.

Occorre, a questo punto dell’analisi, sottolineare come la Corte di Cassazione sottilmente ponga una dirimente interpretazione delle parole della giurisprudenza comunitaria.

I Giudici italiani hanno ritenuto che la posizione espressa in ambito transnazionale consenta l’introduzione di normative nazionali maggiormente garantiste nei confronti dei diritti dei lavoratori interessati da fenomeni analoghi a quelli in oggetto.

L’apertura così descritta, però, non permette di arrivare alla conclusione di un obbligo di conformazione ad una posizione come quella descritta. In buona sostanza, si ritiene che i Giudici europei consentano, ma non obblighino, all’orientamento estensivo descritto.

La conclusione di questo breve scritto viene lasciato ad un esplicito richiamo alla sentenza n. 24972/2016:

“[…] le considerazioni che precedono dimostrano che il passaggio dei dipendenti dal precedente appaltatore al nuovo subentro nell’appalto medesimo (in assenza, giova ribadire, di contestuale trasferimento di non trascurabili strutture materiali organizzate o, almeno, di know how e/o di altri caratteri idonei a conferire autonoma capacità operativa a maestranze stabilmente coordinate e organizzate tra loro) non è automatico, né forma oggetto di diritto acquisito in capo ai lavoratori del vecchio appaltatore, non esistendo alcuna norma di legge che lo stabilisca […]”.

Avv. Jacopo Marchini


[1] Art. 29, comma 3, D.Lgs. 276/2003: “l’acquisizione del personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro di nuovo appaltatore, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto d’appalto, con costituisce trasferimento d’azienda o di parte d’azienda”.