Danno da perdita del congiunto

Il danno derivante dalla perdita di un congiunto non può essere distinto dal danno morale.

La Corte di Cassazione torna ad interrogarsi sull’individuazione di diverse voci di danno per il risarcimento concesso ad una delle parti. Nel caso specifico che andremo ad esaminare, quella da perdita del congiunto.

La questione apparirebbe oramai non più attuale ed il principio ribadito dalla Corte con la sentenza n. 238/2017 non innova rispetto alle precedenti pronunce, con particolare riferimento alle celebri sentenze “gemelle” di San Martino.

Secondo i Giudici di Piazza Cavour, la perdita di una persona cara implica necessariamente una sofferenza morale, la quale non costituisce un danno autonomo. Questa, infatti, rappresenta un aspetto del danno non patrimoniale.

Il principio affermato dalla Corte non porta alla conclusione che la perdita di persona cara non abbia riflessi sul risarcimento, anzi.

I Giudici precisano che si tratta di un aspetto di cui si deve tenere conto (unitamente a tutte le altre conseguenze) ma all’interno di una liquidazione unitaria e omnicomprensiva del danno non patrimoniale.

Ma vi è di più.

Viene ribadito che la richiamata unitarietà non esclude una separata considerazione dei vari effetti del danno. Si esige unicamente che le varie componenti siano valutate volta per volta ma risultando un unico quantum.

Nel caso di specie, i Giudici di merito avevano duplicato la voce di danno. Da un lato, quello morale, inteso quale sofferenza soggettiva (ma che in realtà non costituisce un aspetto del più generale danno non patrimoniale) e, dall’altro, quello da perdita di persona cara.

La Corte ha stabilito che detta duplicazione è inammissibile. La sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita, e quella che accompagna l’esistenza del soggetto che l’ha subita, altro non sono che componenti del complesso pregiudizio che va integralmente (ma unitariamente) ristorato.

Avv. Jacopo Marchini