L’AVVOCATO CHE IN UDIENZA MIMA ”TI FACCIO UN CULO COSÌ “ AL GIUDICE

Integra il delitto di “oltraggio a magistrato in udienza” mimare il gesto rivolto al giudice di “fargli un culo così”

Corte di Cassazione Sentenza 51970, 2018

La Corte di Cassazione con la sentenza in commento ha avuto modo di considerare il comportamento di un avvocato che durante l’udienza aveva manifestato il proprio dissenso verso la conduzione del processo da parte del magistrato in quanto a suo dire non consentiva l’esercizio della difesa e poi si era voltato verso il pubblico, composto anche da avvocati, facendo con le mani il gesto, caratterizzato dai pollici ed indici aperti, che sta ad indicare “ti faccio un culo così“.

Detto comportamento integra reato di cui all’art. 343 c.p. “Oltraggio a un magistrato in udienza” e  ciò anche nel caso in cui il magistrato non si sia accorto del gesto e lo stesso sia stato colto solo da alcuni presenti.

A tal riguardo gli Ermellini ritengono che

“A ben guardare dunque la Corte, pur sottolineando che il magistrato non si era accorto del gesto, ha nondimeno dato conto degli elementi costitutivi della fattispecie, rilevando che la stessa era stata integrata sia sotto il profilo oggettivo, in ragione della concreta offensività del gesto, che sotto quello soggettivo della direzione della volontà, individuata sulla base dell’intera condotta tenuta in quel peculiare frangente dal ricorrente, connotata dagli interventi a sostegno del collega e dalle censure in ordine conduzione dell’udienza da parte del magistrato, che peraltro, secondo quanto rilevato dalla Corte, aveva in precedente occasione segnalato al Consiglio dell’Ordine un comportamento scorretto del legale.”

Peraltro il reato di cui all’art. 343 cod. pen. presuppone l’offesa dell’onore o del prestigio del magistrato in udienza e che, come già affermato, sia, pur con riguardo all’originaria formulazione dell’art. 341 cod. pen.,

“l’offesa al prestigio assurge ad esposizione a pericolo di attributi che devono accompagnare l’azione della pubblica amministrazione e quindi dei soggetti preposti o componenti dei suoi uffici ed il cui pregiudizio potrebbe risultare ostativo al raggiungimento delle finalità poste dalla legge, od all’efficacia dell’azione pubblica, incidendo sul consenso che la p.a. deve necessariamente avere nella società”.

Pertanto la Cassazione ritiene che il reato risulta

“integrato allorché la condotta sia riconosciuta come idonea a compromettere quei requisiti di efficacia e di autorevolezza che devono assistere l’azione del magistrato, non essendo indispensabile che la condotta sia da esso direttamente percepita, ma occorrendo che la stessa sia di per sé tale da determinare quelle condizioni di pregiudizio, che valgono ad offendere il bene tutelato dalla norma incriminatrice.”

Avv. Tania Busetto


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