IN MERITO ALLA FALSIFICAZIONE DEI BUONI FRUTTIFERI

Falsificazione di buoni fruttiferi

Corte di Cassazione, seconda sezione penale, sentenza n. 20437 del 2018

I fatti di causa:

Sia il Tribunale di Agrigento che la Corte d’Appello di Palermo hanno  confermato, la condanna di Tizio e Caio, ritenuti colpevoli dei delitti di tentata truffa aggravata, ex artt. 56 e 640, comma 1 e 62 n. 10 c.p.

I due con raggiri o artifizi, consistiti nel presentare all’incasso dell’Ufficio postale alcuni buoni fruttiferi falsi, al fine di indurre in errore il responsabile dell’ufficio per incassare illecitamente la somma di euro 42.785,43 euro, sostenendo che questi erano di proprietà di una loro parente.

Tuttavia, Tizio e Caio, per cause indipendenti dalla loro volontà non erano riusciti nell’intento illecito.

Secondo la Corte territoriale, visto che le copie esibite al responsabile dell’ufficio postale sembravano originali, doveva ritenersi integrato anche il reato di falso contestato.

Per tali motivi, i due uomini sono ricorsi in Cassazione, sostenendo come unico motivo di ricorso la violazione di legge nonché il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta configurabilità del reato di tentata truffa e manifesta illogicità della motivazione.

Secondo i ricorrenti

“visto che i documenti consegnati all’ufficio postale erano vere copie di titoli esistenti e senza alcuna manomissione o contraffazione degli estremi identificati non sussisteva un falso penalmente rilevante ed, in ogni caso, il reato andava escluso per carenza dell’elemento psicologico”.

La decisione della Corte:

Osserva, quindi, il Collegio

“che il reato di cui al capo b) deve essere inquadrato nell’ ipotesi di cui all’ art. 485 cod. pen. (rubricato “Falsità in scrittura privata” ed oggi depenalizzata, a seguito dell’intervento del D. Lgs. n. 7 del 2016), dovendosi, pure, escludere la inquadrabilità in quella – differente – della “Falsità in testamento olografo, cambiale o titoli di credito” (di cui all’art. 491 cod. pen., come riformulato dal medesimo D.Lgs. n. 7 del 2016 già citato).”

ed ancora

“A tal proposito occorrono alcune considerazioni preliminari circa le caratteristiche di Poste Italiane S.p.A. – che è una società per azioni il cui capitale è detenuto al 100% dallo Stato italiano – e la natura dei prodotti in questione (buoni fruttiferi postali emessi dalla Cassa
Depositi e Prestiti nell’ anno 2012, falsificati attraverso la predisposizione di fotocopie assai simili agli originali ed utilizzati per il tentativo di truffa).
Va premesso che non è qui di discussione la natura di ente pubblico di Poste Italiane S.p.A. (pacificamente riconosciuta dalla giurisprudenza, vedi, in tale senso Sez. 2, n. 38614 del 17/07/2014 – dep. 22/09/2014, Di Donato, Rv. 26082701) atteso che l’interesse
pubblico e l’utilità sociale possono essere perseguiti e realizzati anche con strumenti giuridici di natura privatistica, strumenti che non a caso sono stati scelti in quanto il più delle volte risultano più duttili ed efficaci di quelli previsti dal diritto pubblico.
Deve, infatti, essere ricordato che la Corte Costituzionale, in numerose pronunzie, ha individuato una nozione di Pubblica Amministrazione di carattere sostanziale, riconosciuta dalla normativa comunitaria, ravvisabile anche in presenza di una veste di diritto privato, da ritenersi solo formale.”

Per altro  a riguardo il Consiglio di Stato ha, condivisibilmente affermato (Sez. 6^, 2 marzo 2011, n. 1206) che Poste Italiane S.p.A. costituisce un ente pubblico in forma societaria in quanto deputata ex lege al perseguimento di un interesse pubblico attraverso una struttura sottoposta al controllo pubblicistico esercitato dallo Stato non nella sua qualità di azionista ma di ente pubblico.
Il Consiglio di Stato evidenza che non può non rilevarsi come Poste Italiane S.p.A., pur avendo assunto la forma societaria, ha continuato ad essere sottoposta ad una disciplina derogatoria rispetto a quella codicistica e sintomatica della strumentante rispetto al conseguimento di finalità pubblicistiche. Del resto, i dubbi sull’astratta compatibilità tra la struttura societaria e la natura pubblica di un ente trasformato in s.p.a. devono ritenersi ormai superati a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 887 del 1984, art. 18, comma 9, che ha previsto la costituzione dell’Agecontrol s.p.a. “nelle forme di s.p.a. con personalità giuridica di diritto pubblico”. Affermata dal legislatore tale compatibilità, la questione si sposta sulla verifica in concreto dei criteri, in base a cui individuare la natura pubblica di tali soggetti. Con riguardo a Poste Italiane s.p.a., si osserva che la trasformazione dell’ente in s.p.a. è stata prevista dalla L. n. 71 del 1994, art. 1, comma 2, ed è stata attuata con Delibera del C.I.P.E. 18-12-1997. La costituzione in s.p.a. è, quindi, avvenuta non per un atto di autonomia o per
effetto di un contratto, ma ad opera di un intervento legislativo ed in assenza di una pluralità di soci. L’unico azionista (Ministro del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione economica) non esercita i propri diritti autonomamente, ma di intesa con il Ministro delle Comunicazioni; lo stesso statuto è definito congiuntamente dai due ministeri e la società è tenuta a stipulare con il Ministero delle Comunicazioni un contratto di programma, che tenga conto delle direttive del Presidente del Consiglio dei Ministri (vedi punti 2, 4 e 5 della cit. Del. C.I.P.E.).
Il titolare delle azioni della Poste Italiane s.p.a. è, quindi, fortemente condizionato nell’esercizio dei propri diritti di azionista da regole di funzionamento, che costituiscono un’alterazione del modello societario tipico e rivelano la completa attrazione nell’orbita pubblicistica della”S.p.a..

Concludendo si deve ritenere che Poste Italiane s.p.a, in quanto società di diritto speciale ancora interamente posseduta dallo Stato, abbia
natura pubblica, continui ad agire per il conseguimento di finalità pubblicistiche e che lo Stato, nella sua veste di azionista di maggioranza o totalitario, non possa che indirizzare le attività societarie a fini di interesse pubblico generale anche al di là e prescindendo dal mero intentolucrativo .

Il servizio postale, consistente nella negoziazione dei buoni fruttiferi in favore di soggetti privati, non è diverso dagli analoghi servizi offerti dal sistema bancario rimanendo assoggettata ad una disciplina di diritto privato, deve ritenersi che tali documenti debbano essere qualificati come scritture private; come precisato anche sentenza n. 15798/2017 della Corte di Cassazione.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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