CONTO CORRENTE, VERSAMENTI INGIUSTIFICATI E PRESUNTI RICAVI IN NERO DEL PROFESSIONISTA

Presunti ricavi in nero per il professionista che versi senza giustificato motivo soldi sul conto corrente

Corte di Cassazione, sezione terza penale, sentenza n. 44562 del 2018

La Corte di Cassazione, sezione terza penale, con la sentenza n. 44562 del 2018 ha espresso il seguente principio di diritto:

“In tema di accertamento, anche dopo l’entrata in vigore del D.L. n. 193 del 2016, convertito, con modificazioni dalla L. n. 225 del 2016, che ha eliminato, dal disposto del D.P.R. n. 600 del 1923, art. 32, comma 1, n. 2), il riferimento ai compensi, resta invariata la presunzione legale posta dallo stesso art. 32, con riferimento ai versamenti effettuati su un conto corrente dal professionista o lavoratore autonomo, sicché questi è onerato di provare in modo analitico l’estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili. La base legale della presunzione per i versamenti è rappresentata, infatti, dal secondo periodo dell’art. 32, comma 1), n. 2), richiamato, che non opera alcuna distinzione fra le varie categorie di contribuenti e non è stato toccato né sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014 né dal D.L. n. 193 del 2016″

Nel caso di specie, il Tribunale aveva parzialmente confermato il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP del Tribunale in riferimento a sei reati fiscali.

Avverso detta sentenza aveva proposto ricorso per Cassazione il Procuratore della Repubblica, lamentando l’erronea applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1 n. 2) e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2).

Gli Ermellini, intervenuti sulla questione hanno dichiarato fondato il ricorso.

Il Tribunale aveva fondato la propria statuizione di annullamento parziale dell’operatività della presunzione legale relativa di cui all’art. 32, comma 1, n. 2 del D.P.R. n. 600 del 1973 e all’art. 51, comma 2, n. 2), del D.P.R. n. 633 del 1972, sostenendo di non condividere l’impostazione accusatoria, secondo la quale devono essere presuntivamente considerati come compensi percepiti dal professionista tutti gli accrediti rinvenuti, in seguito ad indagini effettuate sul suo conto personale o su quello dello studio, nel caso in cui questo non sia in grado di giustificarne la provenienza.

Tale interpretazione non merita di essere condivisa, infatti, l’art. 32, comma 1, n. 2) del D.P.R. n. 600 del 1973, che disciplina le “disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi”, come modificato dall’art. 1, comma 402 lett. a) n. 1) della L. n. 311 del 2004, dispone che i dati e gli elementi trasmessi su richiesta sono posti a fondamento delle rettifiche e degli accertamenti previsti dallo stesso D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, 39, 40 e 41, a meno che il contribuente non dimostri che ne ha tenuto debito conto nella determinazione dei redditi o che essi non abbiano alcuna rilevanza a tal fine.

Inoltre si prevede che i prelievi o gli importi riscossi nell’ambito di tali operazioni siano posti come ricavi o compensi a base delle rettifiche e degli accertamenti, nel caso in cui il contribuente non ne indica i reali beneficiari e sempreché non risultino dalle scritture contabili.

Su detta formulazione, la Corte Costituzionale è intervenuta con la pronuncia n. 228 del 2014, dichiarando l’illegittimità costituzionale della locuzione “o compensi”. Inoltre la Corte di Cassazione, con diverse pronunce ha chiarito che in tema di accertamento, rimane invariata la presunzione legale posta dall’art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973, con riferimento ai versamenti effettuati dal professionista sul conto corrente, pertanto questo ha il dovere di provare ‘l’estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili, essendo venuta meno con la sentenza n. 228 del 2017 della Corte Costituzionale l’equiparazione logica tra attività imprenditoriale e professionale in merito ai prelievi sui conti bancari.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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