CADUTA DEL CICLISTA E RISARCIMETO DEL DANNO

NESSUN RISARCIMENTO ALLA CICLISTA CADUTA PER PICCOLI DISLIVELLI SULLA STRADA

La Pubblica amministrazione è responsabile per i danni cagionati da alterazioni del manto stradale laddove questi siano di rilevante entità e non siano adeguatamente visibili dall’utente, in quanto la presenza di alterazioni attiene l’obbligo di custodia della cosa che spetta all’ente pubblico, trattandosi di demanio pubblico che è dunque obbligato alla sua manutenzione.

All’infortunato spetta l’onere di provare il danno ed il nesso di causalità, mentre la P.A. competente deve provare che la buca era evitabile, tenuto conto della larghezza del marciapiede, della visibilità e della conoscenza dei luoghi da parte del soggetto danneggiato.

Invero seppur la P.A sia tenuta alla corretta custodia e manutenzione delle strade, è altrettanto vero che l’utente deve fare attenzione ed evitare ostacoli evidenti, dunque scongiurando danni  prevedibili.

Può anche sussistere un c.d. “concorso di colpa del danneggiato” laddove si possa ritenere la colpa in percentuale tra l’utente, che avrebbe dovuto stare più attento, e la P.A. che avrebbe dovuto curare dippiù il manto stradale ed allora verrà riconosciuto sì un risarcimento, ma ridotto in misura proporzionale ai sensi dell’art. 1227 c.c.

Ad esempio, l’illuminazione e le dimensioni di una buca, sono circostanze idonee a rendere un ostacolo prevedibile ed a gravare di conseguenza sulla misura del risarcimento del danno.

Vi sono fiumi di Giurisprudenza in materia che valutano le singole casistiche.

Tra le diverse pronunce, risulta interessante la recente Sentenza della VI Sezione della Cassazione civile n. 28672 del 4 ottobre 2022 per cui:

La sola esistenza di un’alterazione in un manto stradale non è sufficiente a costituire prova piena e certa del nesso causale fra la pretesa insidia e il sinistro, la presenza di tale alterazione non dimostra che essa abbia cagionato la caduta e detta prova non può trarsi dalle sole affermazioni rese dalla parte danneggiata”

Nella vicenda sottesa alla pronuncia in esame la Corte d’appello confermava la decisione di primo grado, che aveva rigettato la domanda risarcitoria dell’utente della strada per i danni subiti in conseguenza del sinistro, in cui lo stesso rovinava a terra quando, in sella ad una bicicletta, la ruota anteriore si inseriva in una irregolarità dell’asfalto in prossimità di un tombino metallico.

L’utente ricorreva quindi in Cassazione lamentando la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per l’omessa valutazione, da parte dei giudici di merito, dello stato dei luoghi ove avvenne l’incidente; la violazione dell’art. 2051 c.c. e il difetto di motivazione in ordine alla richiesta subordinata di compensare le spese di giudizio in considerazione della complessità del caso.

La Suprema Corte rigettava in toto le doglianze del ricorrente.

Con riferimento al primo motivo, i Giudici di Piazza Cavour ritenevano lo stesso inammissibile perché la Corte d’Appello aveva deciso in modo conforme alla sentenza di primo grado e parte ricorrente non aveva indicato le ragioni di fatto della decisione di primo grado ed in cosa queste si differenziavano da quelle poste a fondamento della decisione di appello (sul punto è conforme la  Cass. 22/12/2016, n. 26774; 06/08/2019, n. 20994; 15/03/2022, n. 8320) e poiché le sue censure erano comunque estranee al paradigma censorio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 oltre che infondate nel merito.

Le argomentazioni dell’utente, per la Suprema Corte, nemmeno avevano confutato la tesi di merito che aveva evidenziato diverse criticità nella versione della richiedente, rilevando l’assenza di elementi probatori sufficienti a supportare la richiesta di risarcimento essendo al contrario emersi indizi di segno contrario tra cui

“l’insussistenza di irregolarità del manto stradale di dimensioni tali da consentire ad una ruota di incastrarsi al suo interno; le dimensioni minime del dislivello tra tombino e manto stradale; l’assenza di tracce dell’incidente sulla bicicletta; la vaghezza della versione dei fatti resa in successivi momenti dalla istante e la sua modificazione nel tempo”.

Con riferimento al secondo motivo anch’esso veniva giudicato inammissibile giacché la ratio decidendi della Corte e del Tribunale di prime cure si fondava sulla mancanza di prova del nesso di causa tra cosa in custodia ed evento di danno.

Gli ermellini aggiungevano, sul secondo motivo che, laddove veniva dedotto la fondatezza della domanda risarcitoria quanto meno ai sensi dell’art. 2043 c.c., veniva di fatto introdotta una questione nuova non trattata nel giudizio di merito. Ricordava sul punto la Corte che

qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo a questa Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione” (tra le tante, Cass. n. 15430/2018) osservazioni queste disattese dal ricorrente.

Da ultimo la Corte riteneva inammissibile anche il terzo motivo sia perché irrituale che perché infondato:

L’affermazione secondo cui con l’appello era stata chiesta la compensazione delle spese del giudizio di primo grado, non vale a contrastare il rilievo, nella sentenza d’appello, della mancanza di un motivo di gravame in punto di spese, ed in ricorso nulla si dice se e come con quella richiesta si fossero o meno anche evidenziate le ragioni per cui il diverso regolamento doveva considerarsi erroneo e meritevole di riforma.”.

In conclusione la Suprema Corte dichiarava inammissibile il ricorso, confermando la pronuncia di primo e secondo grado, che avevano ritenuto indimostrate le modalità della caduta così come il nesso causale fra la cosa in custodia e l’evento ed evidenziato il fatto che la copertura in metallo del tombino fosse in condizioni non denotanti una intrinseca pericolosità.

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Cassazione civile sez. VI 04.10.2022 (ud. 14.07.2022 dep. 04.10.2022) n.28672