FIGLIO ADULTO SENZA LAVORO? NO AL MANTENIMENTO

NIENTE MANTENIMENTO AL FIGLIO ULTRA MAGGIORENNE ANCHE SE C’È CRISI NEL MERCATO DEL LAVORO

Ai sensi dell’art. 337 septies c.c.

Il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all’avente diritto. Ai figli maggiorenni portatori di handicap grave si applicano integralmente le disposizioni previste in favore dei figli minori.”

In altre parole, i genitori hanno l’obbligo di mantenere i figli, anche se questi hanno compiuto la maggiore età e ciò fino a quando la prole non abbia raggiunto l’autosufficienza economica.

Tale obbligo non è tuttavia illimitato e perpetuo invero viene meno laddove il figlio abbia violato il c.d. principio di autoresponsabilità e cioè sia stato messo nella posizione di essere economicamente autosufficiente ma non ne abbia approfittato (sul punto si vedano ex multis: Tribunale sez. IV – Monza, 19/03/2020, n. 590; Tribunale sez. IV – Monza, 08/05/2019, n. 1062; Tribunale sez. IV – Monza, 06/02/2020, n. 278; Tribunale di Siena, 15/12/2018, n. 51; Tribunale di Savona, 27/01/2016; Cassazione civile sez. VI – 09/10/2020, n. 21752; Cassazione civile sez. VI – 20/12/2017, n. 30540 – Tribunale di Palermo, 29/06/2020, n. 1944; Cassazione civile sez. I – 22/06/2016, n. 12952.).

La ratio della normativa e della giurisprudenza in materia di mantenimento dei figli maggiorenni, risiede nel corretto bilanciamento tra i doveri di assistenza dei figli e la ragionevolezza, affinché il contributo dei genitori non si protragga oltre i limiti di tempo e di misura, trasformandosi in un atteggiamento parassitario della prole nei confronti dei genitori (si veda sul punto: Corte appello sez. famiglia – Roma, 18/11/2020, n. 5708; Tribunale di Palermo, 29/06/2020, n. 1944; Cassazione civile sez. I – 22/06/2016, n. 12952; Cassazione civile sez. I – 14/08/2020, n. 17183; Cassazione civile sez. VI – 11/06/2020, n. 11186; Cassazione civile sez. I – 14/08/2020, n. 17183; Cassazione civile sez. VI – 11/06/2020, n. 11186).

Per autosufficienza economica si intende il raggiungimento di una capacità reddituale che permetta al soggetto di mantenersi dignitosamente. In tal senso dunque non possono essere intesi come impieghi che permettano il raggiungimento dell’autosufficienza economica, quelli attinenti un contratto di apprendistato o per attività lavorative c.d. “a chiamata” (Sul punto ex multis:  Cassazione civile sez. I – 26/05/2017, n. 13354 e Tribunale di Savona, 27/01/2016).

Il genitore non può essere obbligato al mantenimento, se lo stato di disoccupazione o lo stato di indigenza del figlio sia connesso ad una condotta colpevole di quest’ultimo.

Così ad esempio, l’obbligo al mantenimento del genitore, cessa laddove il figlio non si impegni nella propria crescita lavorativa; adotti uno stile di vita sregolato o non si applichi adeguatamente per una ricerca di lavoro o anche frequenti l’università senza profitto (si veda sul punto ex multis:  Cassazione civile sez. I – 14/08/2020, n. 17183 e Cassazione civile sez. I – 01/02/2016, n. 1858; Corte appello – Catania, 13/07/2017; Cassazione civile sez. I – 22/06/2016, n. 12952; Tribunale di S.Maria Capua V., 15/04/2020, n. 871; Tribunale sez. I – Taranto, 07/07/2016, n. 2257).

Insomma, la Giurisprudenza si è impegnata ad evitare che il diritto dei figli al mantenimento si traduca in una sproporzione dell’obbligo del genitore ed in un comportamento di dipendenza perpetua del figlio svogliato, che rifiuta la crescita e l’inserimento nella società.

In materia molto interessante è la recente pronuncia della I Sezione della Corte di Cassazione Civile n. 29264 del 7 ottobre 2022, che ha specificato che nemmeno la crisi del mercato di lavoro può valere come scusante per il figlio trentenne (quindi ultramaggiorenne), che non abbia ancora trovato alcun impiego giacché, per giunta, vi sono all’uopo appositi strumenti di ausilio messi a disposizione dello Stato.

Nella fattispecie sottesa alla pronuncia in esame, la Corte d’appello respingeva la domanda proposta dal genitore per la revoca dell’assegno di mantenimento in favore della figlia, ritenendo che dalla sentenza di divorzio non vi fossero sostanziali mutamenti e che la ragazza si fosse prodigata per la ricerca di un’occupazione, trovando ad esempio un lavoro in nero presso un’impresa di pulizie per compensi tuttavia insufficienti a renderla autonoma.

La Corte dunque riteneva che il semplice progredire dell’età della figlia, non fosse sufficiente a giustificare la revoca dell’assegno di mantenimento, anche considerato le persistenti condizioni negative del mercato del lavoro al sud d’Italia.

Il genitore si vedeva quindi costretto a ricorrere in Cassazione, denunciando la violazione dell’art. 9 legge sul divorzio, giacché il Giudice di secondo grado non aveva tenuto in debito conto che il trascorrere del tempo e il progredire dell’età della figlia fossero motivi fondanti la revoca dell’assegno; la violazione degli artt. 147,149,337-sexies e 337 septies c.c., considerando che la figlia era ultramaggiorenne e non aveva provato di aver adottato un comportamento responsabile per la ricerca dell’indipendenza economica e la violazione dell’art. 337 septies c.c., in relazione all’art. 2697 c.c., e art. 115 c.p.c., nonché degli artt. 117 e 229 c.p.c., giacché la Corte d’Appello aveva ritenuto valide a dimostrare le ragioni ella ragazza, le sue semplici dichiarazioni.

La Suprema Corte dunque accoglieva le rimostranze del ricorrente, chiarendo innanzitutto che le prove su cui si può fondare l’esclusione del mantenimento possono risiedere nell’età del figlio,

destinata a rilevare in un rapporto di proporzionalità inversa per il quale, all’età progressivamente più elevata dell’avente diritto si accompagna, tendenzialmente e nel concorso degli altri presupposti, il venir meno del diritto al conseguimento del mantenimento”;

nell’effettivo raggiungimento di un livello di competenza professionale e tecnica del figlio e dal suo impegno rivolto al reperimento di una occupazione nel mercato del lavoro (sul punto anche Cass. Sez. 1 n. 17183-20).

Così gli ermellini formavano il principio per cui

il figlio di genitori divorziati, che abbia ampiamente superato la maggiore età, e non abbia reperito una occupazione lavorativa stabile o che, comunque, lo remuneri in misura tale da renderlo economicamente autosufficiente, non può soddisfare l’esigenza a una vita dignitosa, alla cui realizzazione ogni giovane adulto deve aspirare, mediante l’attuazione mera dell’obbligo di mantenimento del genitore, quasi che questo sia destinato ad andare avanti per sempre. Egli deve far fronte al suo stato attraverso i diversi strumenti di ausilio, ormai di dimensione sociale, che sono finalizzati ad assicurare sostegno al reddito”

La Suprema Corte chiariva anche che

le condizioni nel mercato del lavoro del meridione d’Italia, non ottengono di motivare la persistenza di un obbligo di mantenimento da parte del genitore (…) esse stesse sarebbero indicative, semmai, della necessità della figlia di far ricorso, con un minimo di responsabilità, agli strumenti di sostegno sociale, in aggiunta alla dedotta condizione di persona non stabilmente occupata in un’attività di lavoro”.

In conclusione la Corte di Cassazione decideva di cassare il decreto di rigetto emesso dalla Corte d’Appello e rinviava la causa alla medesima Corte in diversa composizione, affinché procedesse a decidere in conformità dei principi enucleati in sede di legittimità.

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Cassazione civile sez. I 07.10.2022 (ud. 27.09.2022 dep. 07.10.2022) n.29264