Trasporti pubblici: computabile il tempo di “viaggio comandato”

La Corte di Cassazione affronta il ricorso promosso da alcuni dipendenti di un’azienda operante nell’ambito dei traporti pubblici. La decisione si pone in linea con le precedenti emesse dalla stessa Corte, da ultima la sentenza n. 25527/2015.

Viene cassata la sentenza emessa dalla Corte territoriale nel 2012 con la quale era stato negato il computo del cosiddetto tempo di “viaggio comandato”. Gli autisti dipendenti di un’azienda dei traporti pubblici locali erano costretti ad un doppio spostamento, una volta raggiunta la sede di lavoro. Da detta sede dovevano, infatti, spostarsi presso il luogo effettivo dell’inizio turno.

Secondo i Giudici di merito non è applicabile al caso di specie quanto previsto dall’art. 17, lettera C, del regio decreto legge n. 2328/1923.

Non era stato ritenuto configurabile un obbligo in capo agli autisti di presentarsi ad inizio turno o a ritornare una volta cessato il servizio alla sede di lavoro.


Sui motivi del ricorso avanti alla Corte di Cassazione.

Secondo i ricorrenti si sarebbe così violato il principio derivante dal combinato disposto degli articoli 17, lettera C, del regio decreto legge n. 2328/1923 e l’art. 12 delle preleggi.

L’interpretazione operata dai Giudici di merito, infatti, era in contrasto con la formulazione letterale della norma. Questo deve ritenersi criterio ermeneutico fondamentale e implicante la remunerazione pro quota del tempo necessario per lo spostamento ad inizio e fine turno dalla sede al “luogo di cambio”.

Con il secondo motivo del ricorso si contestava l’omessa pronuncia dei Giudici rispetto alla domanda formulata in via subordinata e relativa al risarcimento del danno per la maggiore onerosità della prestazione nell’ipotesi indicata.


La decisione delle Corte e la normativa applicabile al settore dei traporti pubblici.

La Corte di Cassazione, a mezzo della sentenza n. 850/2017, ha accolto il primo motivo del ricorso presentato.

Innanzitutto si deve tener presente che ormai si è formato un orientamento costante in seno alla Corte e che, pertanto, i Giudici della sezione lavoro ritengono di non doversene discostare.

Secondo detto orientamento il computo del tempo di viaggio presuppone che non vi sia coincidenza del luogo di inizio con quello di cessazione del lavoro giornaliero. Questa circostanza deve essere determinata, in via esclusiva, da una necessità logistica aziendale.

Il fondamento della norma, pertanto, è quello di compensare il tempo necessario per il menzionato spostamento.

La Corte arriva così ad esprimere il principio di diritto a cui dovrà attenersi la Corte territoriale a cui la causa verrà rinviata:

“[…] il diritto all’attribuzione patrimoniale dipende dal fatto oggettivo della separazione del luogo di inizio e termine dipende dal fatto oggettivo della separazione del luogo di inizio e termine della giornata lavorativa, predeterminata dalla programmazione del lavoro aziendale, con l’inizio del lavoro in un determinato luogo e la conclusione in un altro luogo e la connessione causale di questa separazione con le necessità aziendali non esige dimostrazione alcuna […]”.

La scelta del lavoratore di utilizzare il proprio mezzo di proprietà non incide, pertanto, sul fatto oggettivo richiesto per l’applicabilità della norma.

Di conseguenza, a fronte di una simile statuizione, anche il secondo motivo deve ritenersi assorbito dalla decisione che abbiamo sin qui tratteggiato.

Avv. Jacopo Marchini