SULL’INTERPRETAZIONE CONTRATTUALE

INTERPRETAZIONE DEL CONTRATTO

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Ai sensi dell’art. 1321 c.c.

Il contratto è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale.

Il contratto è un negozio giuridico con cui ciascuno può formalizzare gli scopi che si vogliono perseguire, attraverso una cristallizzazione nel diritto cui consegue il riconoscimento, da parte dell’ordinamento, di effetti che si spiegano purché tali scopi siano meritevoli di tutela.

In sostanza con il contratto, le parti regolano degli interessi patrimoniali producendo precisi effetti giuridici.

Il carattere patrimoniale dell’istituto si conforma alla norma dell’art. 1174, che ritiene essenziale all’obbligazione, la patrimonialità della prestazione.

L’istituto è la massima espressione del diritto di autodeterminazione dei soggetti che così possono regolare autonomamente i propri interessi.

Dunque, palesando gli intenti dei contraenti, può accadere che la sua interpretazione non sia pacifica, rendendosi quindi necessaria un’indagine sulla reale volontà delle parti al momento della sottoscrizione.

Così, nella applicazione delle clausole, possono aversi incertezze circa la loro interpretazione che  porta poi le parti contraenti ad un disaccordo che, se non si risolve, renderà necessario il ricorso alla Giustizia.

Si farà nell’eventualità riferimento agli artt. 1362 a 1371 del codice civile.

In ogni caso, come disposto dall’art. 1366 c.c. il contratto deve essere sempre interpretato secondo buona fede.

Per la tutela del principio del legittimo affidamento, di trasparenza e di certezza dei negozi giuridici, l’analisi dell’interpretazione del contratto non avverrà sulla base di quale sia la reale volontà di ogni parte, ma si indagherà quella che appare all’esterno.

Così il contratto andrà si interpretato ricercando la comune intenzione delle parti che appare dall’atto, senza limitarsi al significato letterale delle parole valutando quindi il contegno delle parti  nonché il significato che emerge dal contratto nel suo complesso, ma il significato sarà da indagare nelle parole scritte e non in quelle “non scritte”.

Se rimarranno dubbi facendo ricorso all’interpretazione soggettiva poi, si farà ricorso a quella oggettiva con cui, più che ricercare la comune intenzione delle parti, si tenta di dare un significato all’atto cercando di salvarne la validità ed efficacia.

Così, nelle regole dell’interpretazione oggettiva, il contratto o le sue clausole, devono interpretarsi in modo che abbiano qualche effetto piuttosto nel modo in cui non ne avrebbero nessuno; le clausole ambigue devono interpretarsi secondo le pratiche generali in uso nel luogo di conclusione del contratto; le espressioni con più sensi devono interpretarsi, nel dubbio, nel senso più conveniente alla natura e all’oggetto del contratto e le clausole inserite in moduli o formulari o in condizioni generali di contratto, nel dubbio devono essere interpretate a favore del contraente che non l’ha inserite.

In materia di interpretazione del contratto risulta illuminante la sentenza della II Sezione della Cassazione civile del 15 settembre 2022, n. 27186 per cui:

In sede di interpretazione del contratto, il giudice deve indagare la comune intenzione delle parti e non può fermarsi al dato letterale del testo contrattuale, anche se (apparentemente) chiaro: tale dato è il punto di partenza dell’attività ermeneutica, ma l’ipotesi interpretativa deve poi essere verificata alla luce delle altre clausole del contratto e della condotta anche esecutiva dei contraenti. In questi termini va negato pertanto valore al brocardo ‘in claris non fit interpretatio’.”

In particolare, nella vicenda sottesa alla pronuncia in esame accadeva che, in un contratto preliminare di compravendita immobiliare stipulato tra due fratelli ed una società, i primi avevano agito contro quest’ultima per ottenere una sentenza produttiva degli effetti del contratto definitivo ex art. 2932 c.c., previo pagamento del residuo stornato della penale, dovuta per il ritardo nella consegna.

Costituitosi, il venditore chiedeva il rigetto delle avverse pretese e, in via riconvenzionale, la condanna all’adempimento del contratto di compravendita, previo pagamento del residuo del prezzo oltre interessi.

I germani vincevano in primo ed in secondo grado, ma il venditore ricorreva in Cassazione lamentando tra gli altri motivi, la  violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia del giudice d’appello sul capo del gravame riguardante l’inadempimento da parte dei promissari acquirenti per mancata offerta del saldo del prezzo al momento della stipula e, successivamente, rilevante ai fini del riconoscimento del richiesto tasso moratorio degli interessi.

La Suprema Corte accoglieva l’eccezione, ritenendo gli altri motivi assorbiti, rilevando nella parte motiva che l’indagine volta all’interpretazione del contratto studia la comune volontà dei contraenti, che deve essere vagliata innanzitutto con riferimento al senso letterale delle espressioni usate giacché il legislatore ha imposto all’interprete del contratto

di ricostruire in primo luogo la volontà delle parti: per far ciò deve muovere dal testo contrattuale, verificando se questo sia coerente con la causa del contratto, le dichiarate intenzioni delle parti, e le altre parti del testo.”

Con tale iter, ci si muove quindi dal testo per risalire all’intenzione atteso che

nell’interpretazione del contratto l’art. 1362 c.c., impone di compiere l’esegesi del testo, ricostruire in base ad essa l’intenzione degli stipulanti e verificare se l’ipotesi di comune intenzione ricostruita sia coerente con le restanti parti del contratto e con la condotta, anche esecutiva, dei contraenti, sicché non si esclude che debba essere indagato il significato proprio delle parole, imponendosi esclusivamente di negare valore al brocardo in claris non fit interpretatio” (cnf. Cass. n. 24421 del 2015).

Ma le rimostranze della società ricorrente erano fondate poiché la pronuncia aveva omesso l’accertamento dell’inadempimento dei germani al pagamento del saldo del prezzo alla data fissata per la stipula del contratto definitivo, circostanza che invece avrebbe consentito la condanna degli stessi al pagamento richiesto degli interessi.

Così risultava fondata l’eccezione della società venditrice perché la Corte territoriale aveva valutato il solo inadempimento della stessa, senza verificare se vi fossero gli estremi per riconoscere gli interessi, quindi non valutando la sussistenza o meno, dell’allegato inadempimento della controparte circa il pagamento del saldo del prezzo, omettendo, di tal guisa, di pronunciarsi su tale doglianza.

Scarica il testo della sentenza

Cassazione penale sez. II 15.09.2022 (ud. 15.09.2022 dep. 30.09.2022) n.37051

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