SULL’EQUA RIPARAZIONE PER L’IRRAGIONEVOLE DURATA DEL PROCESSO


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Equa riparazione ex art. 2 l. n. 89/2001: ai sensi dell’art. 12 del Protocollo n. 14 alla CEDU, la soglia minima di gravità, al di sotto della quale il danno non è indennizzabile, va apprezzata nel duplice profilo della violazione e delle conseguenze, sicché dall’ambito della tutela della legge 24 marzo 2001, n. 89, restano escluse sia le violazioni minime del termine di durata ragionevole, di per sé non significative, sia quelle di maggior estensione temporale, ma riferibili a giudizi presupposti di carattere bagatellare, in cui esigua è la posta in gioco e trascurabili i rischi sostanziali e processuali connessi

Corte di Cassazione, seconda sezione civile, sentenza n. 26497 del 2019

Nel caso di specie, gli eredi di una donna aveva proposto ricorso avverso il decreto della Corte d’Appello, chiedendo la condanna del Ministero dell’Economia e delle Finanze all’equa riparazione per irragionevole durata di un giudizio amministrativo, iniziato nel 1991, dalla loro madre, avanti il TAR e definito con decreto nel 2014.

La Corte d’Appello aveva dichiarato l’inammissibilità della domanda di equa riparazione, in considerazione dell’intervenuti decorso del termine semestrale di decadenza ex art. 4 della L. n. 89 del 2001 alla data del deposito dell’istanza.

In ogni caso la Corte aveva sottolineato come non fosse stata

“fornita alcuna prova di pregiudizio da irragionevole durata del processo, in presenza dell’inattività delle parti istanti, protratta per ben 24 anni, nel richiedere la fissazione dell’udienza, a fronte del ricorso presentato nel 1991”.

Gli Ermellini, intervenuti sulla questione, hanno respinto il ricorso ritenendo insussistente il pregiudizio da irragionevole durata del processo instaurato dalla dante causa degli odierni ricorrenti, per la protratta inattività della stessa nel giudizio amministrativo presupposto, pendente per ventiquattro anni, nonché per la irrisorietà della posta in gioco.

I giudici di merito avevano tratto il proprio convincimento di insussistenza del danno per disinteresse della parte a coltivare il processo non solo dalla dichiarazione di perenzione del giudizio, quanto dalla valutazione del comportamento processuale dell’originaria attrice, stante l’inerzia processuale mantenuta sin dall’iniziale pendenza della domanda.

Pertanto il protrarsi del procedimento presupposto non è sembrato ai giudici di merito idoneo a produrre conseguenze percepite dalla parte come a lei sfavorevoli.

La Corte d’Appello, per tale motivo, aveva negato l’esistenza di un danno non patrimoniale derivante dalla violazione del termine ragionevole di durata del processo svoltosi innanzi al TAR.

Da ultimo si deve rammentare che secondo costante orientamento giurisprudenziale:

“in tema di equa riparazione ai sensi dell’art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, già nella formulazione anteriore alle modifiche introdotte dapprima dalla l. n. 134 del 2012 e poi dalla l. n. 208 del 2015, il danno non patrimoniale è conseguenza normale, ma non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali; sicché il giudice, una volta accertata e determinata l’entità della violazione relativa alla durata ragionevole del processo secondo le norme della citata legge n. 89 del 2001, deve ritenere sussistente il danno non patrimoniale a meno che, tuttavia, non ricorrano circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dall’interessato” .

L’articolo 2, comma 2-sexies, lettera d), della legge n. 89 del 2001, contenendo una presunzione iuris tantum di insussistenza del pregiudizio da irragionevole durata del processo, pone una nuova disciplina della formazione e della valutazione della prova nel processo.

Inoltre, la Corte ha già avuto modo di specificare che, in tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo,

“ai sensi dell’art. 12 del Protocollo n. 14 alla CEDU, la soglia minima di gravità, al di sotto della quale il danno non è indennizzabile, va apprezzata nel duplice profilo della violazione e delle conseguenze, sicché dall’ambito della tutela della legge 24 marzo 2001, n. 89, restano escluse sia le violazioni minime del termine di durata ragionevole, di per sé non significative, sia quelle di maggior estensione temporale, ma riferibili a giudizi presupposti di carattere bagatellare, in cui esigua è la posta in gioco e trascurabili i rischi sostanziali e processuali connessi”.

Vista l’esiguità del valore monetario del giudizio presupposto, i giudici di merito avevano escluso la tutela indennitaria di cui alla legge 24 marzo 2001, n. 89 non solo in ragione dell’inerzia dell’originaria attrice, ma anche in base ad un apprezzamento concreto della fattispecie.

Dott.ssa Benedetta Cacace

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