RESPONSABILITÀ DEL COMMERCIALISTA PER UNA CONSULENZA ERRATA

Il commercialista è responsabile per aver fornito una consulenza errata ad un suo cliente?

Corte di Cassazione, terza sezione civile, ordinanza n. 14387 del 2019

Nel caso di specie l’attore aveva convenuto in giudizio il suo commercialista, al quale si era rivolto per avere una consulenza sulla maniera più conveniente per uscire da una società di cui era socio lavoratore.

Il professionista gli aveva consigliato di recedere dalla società facendosi liquidare la sua quota, anziché cederla ad altri soci, e che in tal modo avrebbe realizzato molto di più, pagando meno tasse.

L’attore, che aveva seguito il consiglio, aveva tuttavia appreso dal commercialista stesso che l’imposizione fiscale era di molto più alta rispetto a quanto inizialmente prospettatogli. Successivamente, alcuni mesi dopo aveva ricevuto un accertamento fiscale che conteneva una pretesa tributaria ancora più elevata.

Il giudice di primo grado aveva accolto le doglianze attoree, mentre le Corte d’Appello aveva ritenuto che non vi fossero gli estremi di responsabilità professionale della condotta del commercialista.

Gli Ermellini, intervenuti sulla questione hanno dichiarato infondati i motivi di ricorso ed hanno sostenuto che:

“il commercialista, quale che sia l’oggetto specifico della sua prestazione, ha l’obbligo di completa informazione del cliente, e dunque ha l’obbligo di prospettargli sia le soluzioni praticabili che, tra quelle dal cliente eventualmente desiderate, anche quelle non praticabili o non convenienti, così da porlo nelle condizioni di scegliere secondo il migliore interesse”.

Nella valutazione dell’adempimento dell’obbligo sopra esposto, se non è sindacabile la discrezionalità riservata al giudice di merito, è censurabile il fatto che costui abbia posto a base della decisione prove non emergenti, oppure omesso di considerare non il valore probatorio del fatto, ma la prova in sé.

In giudizio era emerso che, d’accordo con il commercialista dell’altro socio, il convenuto aveva deciso di proporre al cliente solamente la strada del recesso, senza fornirgli alcuna informazione in merito alla strada della cessione, essendo più difficoltosa.

Tale informazione non poteva ritenersi superflua ai fini dell’adozione di un’autonoma decisione, avendo questo manifestato la propria intenzione a lasciare la società e a conoscere quali fossero le alternative ed i relativi costi.

Già la divergenza tra quanto prospettato dal convenuto e l’effettiva somma che aveva dovuto pagare l’attore era frutto di un errore del consulente e quindi idonea a costituire inadempimento del suo obbligo di valutare il costo fiscale dell’uscita dalla società, a prescindere dalle valutazioni sull’esistenza di alternative.

“Secondo la regola dell’articolo 1218 del codice civile, il creditore allega l’inadempimento, ed è onere del debitore dimostrare la non imputabilità, così che l’onere del creditore, consistente nella allegazione che il calcolo fatto dal consulente era errato, è stato adempiuto è stato adempiuto, mentre gravava sul consulente dimostrare che la maggiore somma pagata dal cliente era frutto di vicende e fatti a lui non imputabili, in quanto imprevedibili. Invece, ferma restando l’allegazione dell’inadempimento la prova liberatoria non era stata fornita”.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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