“NON FINISCE QUI” – QUANDO DIRLO COSTITUISCE MINACCIA


VUOI RIMANERE SEMPRE AGGIORNATO? ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER

Informativa sulla Privacy

In quali casi pronunciare l’espressione “non finisce qui” costituisce minaccia?

Corte di Cassazione, quinta sezione penale, sentenza n. 09392 del 2020

La Corte di Cassazione, quinta sezione penale, con la pronuncia n. 09392 del 2020 è intervenuta per chiarire in quali casi l’utilizzo dell’espressione “non finisce qui” costituisce reato di minaccia.

Nel caso di specie il Tribunale, in parziale riforma della decisione del Giudice di Pace, aveva condannato l’imputato alla pena di euro 450 di multa, per i reati di cui agli artt. 81 cpv, 612 comma 1 e 582 del codice penale, per aver proferito frasi minacciose, “comunque non finisce qui“, nei confronti della vittima e, di averla afferrata per il collo, cagionandogli lesioni.

L’articolo 612 del codice penale disciplina la minaccia ed enuncia che:

“Chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a 1.032 euro.

Se la minaccia è grave o è fatta in uno dei modi indicati nell’articolo 339, la pena è della reclusione fino a un anno.

Si procede d’ufficio se la minaccia è fatta in uno dei modi indicati nell’articolo 339”.


Quello che ci si chiede è se l’espressione “non finisce qui” sia idonea ad integrare l’elemento oggettivo del reato di minaccia ex art. 612 c.p.

Secondo l’imputato, l’espressione da lui utilizzata non è idonea ad integrare il reato contestato in quanto non idonea a generare nella vittima alcun timore, dovendo essere letta all’interno del contesto in cui è stata pronunciata.

Gli Ermellini, intervenuti sulla questione hanno respinto il ricorso precisando che

“se è pur vero, infatti, che l’espressione “comunque non finisce qui” in sè non risulta avere una connotazione univocamente minacciosa, essendo pressochè neutra, ben potendo anche alludere ad un mero prosieguo delle attività di tutela dei propri diritti in sede giurisdizionale, tuttevia, nella fattispecie in esame, proprio per il contesto ed il momento nel quale è stata proferita, nonchè per i toni e la cornice di riferimento, non può che intendersi come prospettazione di un’ulteriore attività aggressiva illegittima e, quindi, integrare il reato di minaccia”.

La Corte di Cassazione, con diverse pronunce ha evidenziato come non debba essere trascurata la rilevanza da attribuire al contesto in cui le frasi sono proferite, in ordine alla loro potenziale capacità ad incidere sulla libertà morale del soggetto passivo.

Pertanto

“ai fini dell’integrazione del delitto di cui all’art. 612 c.p., checostituisce reato di pericolo, la minaccia va valutata con criterio medio ed in relazione alle concrete circostanze del fatto, sicchè non è necessario neppure che il soggetto passivo si sia sentito effettivamente intimidito, essendo sufficiente che la condotta dell’agente sia potenzialmente idonea ad incidere sulla libertà morale della vittima”.

Avv. Tania Busetto

VUOI RIMANERE SEMPRE AGGIORNATO? ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER