MAMMA E LAVORO…SI PUO’!
Il numero di donne che nell’anno 2016 si sono dimesse specificando motivazioni legate alla difficoltà di assistere il bambino e conciliare la vita da mamma col lavoro è di ben 24.618!
Alla fine e all’inizio di ogni anno si è soliti fare analisi e resoconti.
Anche l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha provveduto a fare alcune verifiche ed i dati emersi sono estremamente allarmanti.
Il numero di donne che nell’anno 2016 si sono dimesse specificando motivazioni legate alla difficoltà di assistere il bambino e conciliare la vita da mamma col lavoro, infatti, è di ben 24.618.
Complici di tali scelte i pochi posti disponibili nei nidi, gli alti costi, i bassi stipendi ed i nonni che ancora lavorano o che vivono lontani.
La problematica riguarda in modo abbastanza uniforme tutto il territorio nazionale, ma le Regioni maggiormente colpite sono quelle in cui l’occupazione femminile è maggiore rispetto alla media nazionale. Sul podio infatti troviamo: Lombardia, Veneto ed al terzo posto Lazio ed Emilia-Romagna.
L’incidenza maggiore si è registrata tra operaie ed impiegate, mentre meno colpite le donne con qualifiche dirigenziali ed i quadri.
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La scelta operata dalle donne appare dunque chiaramente dettata da esigenze di tipo economico: in assenza di aiuti meglio stare a casa che percepire uno stipendio da utilizzare per pagare un nido e facendo anche i salti mortali tra casa e lavoro.
Complice di tali scelte l’indisponibilità del datore di lavoro di concedere il part-time, la difficoltà di trovare servizi che aiutino le famiglie nei periodi in cui le scuole sono chiuse, o sono in sciopero, o quando i bambini sono ammalati.
Le difficoltà gravano inoltre maggiormente sulle mamme perchè poco conosciuti, usati e riconosciuti i congedi che spettano al padre – estranea in tal senso la cultura italiana, che solo in quest’ultimo periodo cerca di rinnovarsi ancora a grande fatica.
Tali dati ci pongono innanzi ad una situazione molto grave che va ad abbracciare diversi campi: l’assenza di valide ed economiche strutture che accolgano i bambini (a causa di una politica sempre troppo poco orientata all’aiuto alle famiglie); la pericolosità sociale dell’aumento dell’età pensionabile (non si creano nuovi posti di lavoro per i giovani e si mantengono alle dipendenze persone oramai esauste e sempre meno motivate); la totale ignoranza sia nel privato che nel pubblico impiego dei servizi di welfare aziendale, che, tra l’altro, andrebbero anche ad incidere in modo significativo sulla produttività.