MOLESTIE SUL POSTO DI LAVORO

La Corte di Cassazione Civile, sez. lavoro, con la sentenza n. 23286 del 15 novembre 2016 ha stabilito che in caso di molestie sul posto di lavoro, l’onere della prova si inverte se la molestia è presumibile in base ai fatti

È discriminatorio, e pertanto nullo, il licenziamento avvenuto a causa del rifiuto della lavoratrice di sottostare alle molestie sessuali del proprio datore di lavoro, e deve essere applicato il regime probatorio presuntivo previsto dall’articolo 40 del D.Lgs. 198/2006.

Ciò è quanto emerge dalla sentenza della Corte di Cassazione Civile, sez. lavoro, con la sent. n. 23286 del 15/11/2016.

Il datore di lavoro lamentava la violazione e l’erronea applicazione degli artt. 26 e 40 del d.lgs. 198/2006, per aver, la sentenza impugnata, ritenuto che alle molestie sessuali a lui ascritte, si applicasse il regime probatorio previsto dall’articolo 40, secondo cui:

“Quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico relativi alle assunzioni, ai regimi retributivi, all’assegnazione di mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera ed ai licenziamenti, idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso, spetta al convenuto l’onere della prova sull’insussistenza della discriminazione”.

I giudici della Corte hanno affermato che l’equiparazione tra le molestie sessuali e le discriminazioni “poco si presta, per mancanza del trattamento differenziale, a riflettersi anche sul piano della ripartizione dell’onere della prova”.

Hanno osservato inoltre che se le discriminazioni:

“Ben possono emergere dal tertium comparationis costituito dal trattamento positivamente praticato rispetto ad altre categorie di lavoratori”, in caso di molestie sessuali alla lavoratrice “il tertium comparationis non è che non esista del tutto, ma è costituito da un trattamento differenziale negativo che ha una valenza presuntiva logicamente minore”.

La Corte conclude sostenendo che:

“La doverosità di una esegesi conforme alla normativa euro-unitaria, come interpretata dalla Corte di Giustizia, impone di ritenere estesa l’equiparazione delle molestie sessuali alle discriminazioni di genere anche in ordine alla ripartizione dell’onere probatorio”.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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