LEGGE PINTO

Legge Pinto: la Corte di Cassazione Civile, sez. II, con l’ordinanza n. 22975 del 2 ottobre 2017 ha stabilito che l’azione di risarcimento non può essere esercitata in via surrogatoria

La legge n.89 del 2001, nota come “Legge Pinto”, disciplina i modi e le condizioni per l’esercizio dell’azione di risarcimento del danno causato dall’irragionevole durata del processo.

La richiesta di risarcimento può essere proposta in via surrogatoria ex art. 2900 c.c.?

A tale domanda risponde in maniera negativa la Corte di Cassazione, Sezione Seconda Civile, con l’ordinanza n. 22975 del 2 ottobre 2017.

L’azione surrogatoria ha natura conservativa e cautelare dato che ha come effetto l’incremento del patrimonio del debitore con conseguente vantaggio di tutti i creditori e non solamente di quello che ha agito in surroga.

È un mezzo di tutela preventivo ed indiretto del credito, in quanto la soddisfazione finale e diretta del creditore passa inevitabilmente per il procedimento di esecuzione forzata.

L’azione surrogatoria conferisce al creditore la legittimazione all’esercizio di un diritto altrui, trattandosi di una interferenza nella sfera giuridica del soggetto passivo, ha carattere eccezionale e richiede alcuni requisiti necessari.

Il presupposto essenziale per l’esercizio dell’azione surrogatoria è la qualità di creditore e l’esistenza di un credito certo, anche se sottoposto a termine o a condizione.

Inoltre, deve sussistere un atteggiamento di inerzia del debitore nel compimento degli atti necessari a far valere i propri diritti di natura patrimoniale.

Tale comportamento omissivo deve essere tale da causare un pericolo di un effettivo pregiudizio per le ragioni dei creditori.

Nel caso in esame, i ricorrenti avevano proposto opposizione contro il decreto del consigliere delegato della Corte d’Appello di Ancona del 29 gennaio 2015 che aveva accolto solo in maniera parziale la domanda di equa riparazione per eccessiva durata del processo da loro proposta in relazione ad un giudizio che era stato introdotto dal loro comune dante causa e che si era concluso con sentenza del 22 aprile 2013 emessa dalla Corte d’Appello di Ancora quale giudice di rinvio.

La Corte di Cassazione ritiene che in tema di durata non ragionevole del processo civile, l’erede della parte deceduta nel corso del giudizio presupposto ha diritto all’indennizzo iure proprio solo per il periodo successivo alla sua costituzione volontaria in giudizio o dopo che nei suoi confronti sia stato notificato un atto di riassunzione, dato che, prima di tali momenti, egli potrebbe essere all’oscuro dell’esistenza del giudizio o essere ancora un mero chiamato, mentre solamente a seguito della riassunzione o della costituzione, l’erede viene formalmente coinvolto nel giudizio e ne subisce tutte le conseguenze.

Per tali motivo, la domanda di risarcimento del danno causato dall’irragionevole durata del processo non può essere proposta in via surrogatoria ex art. 2900 c.c.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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