L’EFFICACIA DELLA PRONUNCIA DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO SUI REGOLAMENTI MINISTERIALI

Il regolamento amministrativo

Il regolamento amministrativo è un atto formalmente e soggettivamente amministrativo con portata sostanzialmente normativa, in quanto possiede i caratteri distintivi dell’astrattezza (contiene disposizioni normative applicabili ripetutamente a diversi casi concreti) e della generalità (trova applicazione su un numero indeterminato di destinatari) e presenta, inoltre, la peculiare capacità di innovare l’ordinamento giuridico (la c.d. innovatività). Per tale ragione è annoverata tra le fonti del diritto.

Il regolamento amministrativo può essere esterno o interno: il primo crea norme che incidono sull’ordinamento giuridico e sugli interessi della collettività, mentre il secondo si rivolge esclusivamente nei confronti della collettività organizzata nell’ufficio (ed eventualmente può avere effetti indiretti sui terzi, posto che il mancato rispetto di regole interne potrebbe determinare il vizio dell’atto amministrativo adottato in spregio a tali regolamenti).

Il regolamento esterno, al contrario di quello interno, necessita di una fonte legislativa attributiva del potere normativo organizzatorio, una norma avente forza di legge che conferisca il potere regolamentare stabilendone contestualmente l’ambito d’applicazione, dovendosi ritenere, in difetto, l’esercizio del potere regolamentare avvenuto in carenza di potere e, perciò, nullo ovvero illegittimo.

Il regolamento amministrativo non deve essere in contrasto con la Costituzione né con atti normativi aventi forza di legge (salva l’eventuale efficacia delegificante), né con atti di normazione di provenienza comunitaria; non può contrastare con regolamenti adottati da autorità gerarchicamente superiori o esclusivamente competenti nel settore; non può disciplinare materie coperte dalla riserva assoluta di legge; non può avere portata retroattiva, non può contenere sanzioni penali.

Per quanto riguarda lo Stato, la fonte generale della potestà di adottare regolamenti amministrativi governativi è l’art. 17 della L. n. 400/1988.

Si distinguono

  • regolamenti esecutivi (che possono essere adottati anche in materie coperte da riserva assoluta di legge) destinati a specificare una norma legislativa con norme di dettaglio;
  • regolamenti d’attuazione e di integrazione, destinati a completare i principi generali fissati dalla legislazione primaria;
  • regolamenti indipendenti, destinati ad operare in materie non coperte da riserva assoluta di legge e ancora non disciplinate dalla legislazione primaria;
  • regolamenti di organizzazione, rivolti e destinati all’organizzazione ed al funzionamento degli uffici;
  • regolamenti delegati (di delegificazione) che sono diretti ad incidere anche su norme di rango sovraordinato, in materia non coperte da riserva assoluta di legge;
  • regolamenti di attuazione delle direttive comunitarie, che sono autorizzati ogni anno dalla Legge Comunitaria.

Il sindacato della Corte Costituzionale

Un primo problema attiene al sindacato operato dalla Corte Costituzionale in base all’art. 134 Cost., norma che limita il giudizio costituzionale alle sole fonti di rango primario, con esclusione delle fonti secondarie e, dunque, dei regolamenti.

Secondo la giurisprudenza, la ratio di tale limitazione è ravvisabile nel principio per il quale la Corte Costituzionale è giudice delle leggi e non della costituzionalità.

Alcuni ritengono ammissibile un controllo di costituzionalità delle fonti secondarie in via indiretta (qualora la legge non abbia determinato il contenuto minimo del regolamento, l’incostituzionalità della stessa si estenderà al regolamento).

Secondo altri, il sindacato di costituzionalità potrebbe essere ammesso unicamente per i regolamenti delegati che, per la peculiarità di incidere anche su norme di rango sovraordinato, ne assumerebbero la medesima efficacia sostanziale.

L’unico controllo pacificamente ammesso riguarda il conflitto di attribuzione tra Stato e Regioni nell’adozione dei rispettivi regolamenti.

Il giudice ordinario e amministrativo

Dinnanzi al giudice ordinario, invece, è pacifico che, nel corso di un giudizio avente ad oggetto diritti soggettivi, quando il regolamento costituisca un presupposto, il giudice ordinario possa disapplicarlo (ex artt. 4 e 5 L.A.C.) pur senza che tale statuizione acquisisca valenza di giudicato.

La dottrina tradizionale ha sempre ritenuto che anche il giudice amministrativo possa sindacare il regolamento. Invero, alla luce della natura caducatoria del giudizio amministrativo, il giudice potrebbe esercitare il potere di annullamento al pari di quanto accade per il provvedimento amministrativo. Si noti, tuttavia, che non tutti i regolamenti si considerano direttamente impugnabili.

In tale proposito è opportuno precisare che la dottrina (in particolare A. Romano) distingue tra regolamenti volizione-preliminare e regolamenti volizione-azione.

I primi sono caratterizzati da profili di piena generalità e astrattezza cosicché, non risultando immediatamente lesivi, non saranno direttamente impugnabili. La lesione si verificherà unicamente con il provvedimento attuativo, che sarà impugnabile dinnanzi al giudice amministrativo. Qualora, però, il provvedimento mutui un vizio del regolamento, il ricorrente dovrà compiere un’impugnazione congiunta, affinché non venga reiterata l’illegittimità attraverso l’adozione di un nuovo provvedimento conforme ad un regolamento illegittimo.

I secondi, invece, possiedono un contenuto prescrittivo immediatamente lesivo, che rende necessaria l’impugnazione diretta senza attendere l’approvazione di ulteriori provvedimenti attuativi o derivati. In tale caso, qualora il regolamento non venga immediatamente impugnato, sarà preclusa l’impugnazione dei relativi provvedimenti attuativi, salvo il caso in cui siano affetti da vizi propri.

Tale distinzione si ripercuote sul dies a quo dell’azione di annullamento: per i regolamenti volizione-preliminare decorrerà dal giorno in cui si ha conoscenza del provvedimento lesivo derivativo, mentre per i regolamenti volizione-azione, dal giorno della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

Il giudicato amministrativo

La sentenza del giudice amministrativo passa in giudicato quando non è più ammessa un’impugnazione c.d. ordinaria: il ricorso d’appello al Consiglio di Stato per le sentenze dei T.A.R., il ricorso alla Corte di Cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, la revocazione ordinaria per le decisioni del Consiglio di Stato. È il c.d. giudicato formale, tradizionalmente distinto da quello sostanziale (sulla base degli artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c.).

Si distingue, inoltre, tra giudicato interno e giudicato esterno: nel primo caso la questione non può più essere posta in discussione in ulteriori fasi del giudizio, mentre nel secondo caso la sentenza può avere rilevanza anche rispetto a giudizi diversi, che possano instaurarsi tra le medesime parti.

Sull’efficacia delle pronunce della giustizia amministrativa rispetto ai regolamenti ministeriali

Una delle questioni maggiormente dibattute dalla giurisprudenza amministrativa riguarda l’efficacia delle pronunce di annullamento del regolamento (erga omnes o meno).

Secondo il Consiglio di Stato, la sentenza di annullamento del regolamento è efficace ex tunc ed erga omnes, in evidente deroga rispetto alla valenza relativa del giudicato.

Confermando il consolidato orientamento, infatti, afferma che

il principio dell’efficacia inter partes del giudicato amministrativo non trova applicazione nei confronti delle pronunce di annullamento di particolari categorie di atti amministrativi, ossia in concreto, di quelli che hanno una pluralità di destinatari, un contenuto inscindibile e sono invalidi per un vizio che ne inficia il contenuto in modo indivisibile per i destinatari” (cfr. ex plurimis Cons. Stato Sez. III, 22/07/2016, n. 3307).

Scarica qui il testo integrale della sentenza: Cons Stato III 3307 2016

Il superamento dei limiti soggettivi del giudicato trova fondamento nella indeterminatezza dei destinatari e nella indivisibilità degli effetti del regolamento: se ha valenza e rilevanza generale, il suo annullamento dovrà produrre gli stessi effetti.

Inoltre, l’annullamento erga omnes consente di salvaguardare due principi fondamentali: il principio di certezza del diritto, data la natura anche normativa del regolamento, e il principio di unità dell’ordinamento giuridico, sotto il profilo della disciplina delle fonti del diritto.

In merito al problema dell’efficacia della sentenza di annullamento sui provvedimenti a valle non impugnati, si contraddistinguono due tesi:

  • la prima, secondo cui la pronuncia di annullamento non produce effetti sui provvedimenti a valle non impugnati; gli effetti di questi, scaduto il termine decadenziale, si consoliderebbero a prescindere dal venir meno della fonte normativa alla base della loro adozione;
  • la seconda assume l’efficacia caducatoria immediata dei provvedimenti a valle.

Anche sul tema della disapplicazione da parte del Giudice Amministrativo dei regolamenti non impugnati esistono due tesi:

  • secondo alcuni, la disapplicazione è una prerogativa del giudice ordinario. In particolare, assicurando tale potere al giudice amministrativo, il ricorrente potrebbe in primo luogo eludere gli ordinari termini di impugnazione dei provvedimenti amministrativi e dei regolamenti presupposti o direttamente lesivi. In secondo luogo, si contrasterebbe con i principi della domanda e della certezza del diritto in quanto la disapplicazione comporterebbe l’ultravigenza di altri provvedimenti attuativi ancorché sia illegittimo il regolamento.
  • per altri è auspicabile un controllo di legittimità poiché il regolamento, quale fonte del diritto, risponde al principio iura novit curia e al rispetto della gerarchia delle fonti. Il giudice, dunque, è chiamato a conoscere le disposizioni normative e a non applicare la norma che, contrastando con la legge, risulti illegittima.

L’individuazione dei controinteressati

Secondo la giurisprudenza amministrativa, i controinteressati sono i titolari di una posizione giuridica di vantaggio dipendente dal provvedimento impugnato, e i nominati (o coloro che siano individuabili) nell’atto stesso.

Nel caso dell’impugnazione volta ad ottenere l’annullamento del regolamento, andrebbe applicato l’art. 41 c.p.a., secondo cui il ricorso va notificato all’amministrazione che lo ha emesso, nonché ai controinteressati che dall’atto traggono vantaggio.

Anche in questo caso insistono due tesi contrapposte: la prima, maggioritaria, afferma l’impossibilità di individuazione dei controinteressati; la seconda considera, invece, individuabili le posizioni contrapposte rispetto a quella del ricorrente, almeno nel caso dei regolamenti direttamente applicabili al caso concreto.

In tal senso, l’annullamento con efficacia erga omnes potrebbe comportare una lesione degli interessi dei controinteressati, con possibile caducazione anche degli atti applicativi favorevoli a soggetti non intervenuti in giudizio e, dunque, terzi rispetto alle parti in causa.

In tal modo sarebbe allora da preferire la disapplicazione (o un annullamento con efficacia relativa); ovvero, il controinteressato potrà tutelare il proprio interesse proponendo ricorso incidentale ex art. 42 c.p.a., avanzando domande che siano dipendenti da quella principale o giovandosi della disciplina dei motivi aggiunti di cui all’art. 43 c.p.a.

Questo strumento processuale, quindi, potrebbe contrastare l’annullamento erga omnes dei regolamenti volizione-azione, ossia direttamente applicabili.

Per i regolamenti volizione-preliminare (presupposti al provvedimento lesivo) si configurano due ipotesi.

Se un provvedimento è difforme da un regolamento illegittimo, il giudice dovrebbe annullare il provvedimento impugnato, poiché difforme dal regolamento, a prescindere dalla sua conformità o meno alla legge.

Se, invece, un provvedimento è conforme ad un regolamento illegittimo, il giudice dovrebbe rigettare il ricorso avverso il provvedimento, salvo che il ricorrente non compia la doppia impugnazione.

Avv. Silvia Zazzarini


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