L’AVVOCATO CHE ACCETTA UNA CAUSA PERSA “AB INITIO” DEVE RISARCIRE IL CLIENTE?

Non è dovuto il risarcimento del danno da parte dell’avvocato che non rispetta il termine, perdendolo, di iscrivere a ruolo una causa persa “ab initio

Corte di cassazione – Sezione III – Sentenza 22 novembre 2018 n.30169

Quella dell’Avvocato è un obbligazione di mezzi. Pertanto, se perde il termine per iscrivere a ruolo la causa, nel caso specifico di opposizione a decreto ingiuntivo, non è tenuto al risarcimento del danno per responsabilità professionale perché, nonostante l’attività espletata, non può garantire al cliente il buon esito del procedimento, ma non gli spetta l’onorario!

I fatti di causa

Con ricorso notificato il 13 febbraio 2017, il ricorrente proponeva ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello, con la quale veniva parzialmente respinta l’impugnazione della sentenza del Giudice di primo grado, in una controversia promossa dallo stesso ricorrente contro l’avvocato al quale si era rivolto per l’instaurazione di un causa. Nello specifico, la sentenza di secondo veniva impugnata per far valere la responsabilità professionale del legale, in un’azione di opposizione a decreto ingiuntivo, definita con dichiarazione di improcedibilità per tardività dell’iscrizione a ruolo dell’atto di citazione. La sentenza della Corte di merito, confermando solo in parte la sentenza di primo grado di respingimento della domanda risarcitoria, riteneva, da una parte, che il compenso per la prestazione non era dovuta alla professionista, stante l’errore commesso nell’espletare la difesa e, quanto all’ulteriore danno lamentato dal cliente, non fosse sufficientemente provato che il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo avesse una probabilità di essere accolto; pertanto, la Corte di merito riteneva che dovesse essere restituito all’attore l’anticipo del corrispettivo versato, riformando per questa parte la sentenza di primo grado; in relazione all’esito della controversia, l’ appellante veniva condannato al pagamento di 2/3 delle spese del giudizio d’appello e, per il resto, veniva compensata la quota di 1/3 delle spese.

Il ricorso per Cassazione, a cui la parte intimata non resisteva al giudizio, veniva affidato a quattro motivi di ricorso, anche se quello maggiormente attenzionato dalla Corte di legittimità è il primo.

Con tale motivo il ricorrente, sostiene che la professionista si è resa colpevole di non avergli rappresentato che l’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo appariva fondato su punti di fatto di diritto che avevano poche, se non nulle, probabilità di essere accolte. Tale omessa informazione avrebbe comportato per l’opponente il pagamento di inutili spese giudiziali, ivi incluse le spese legali del giudizio di opposizione. Il motivo è infondato.

La decisione della Corte

Per gli Ermellini, infatti, la Corte d’appello, motivavacorrettamente, nel senso che non solo la scelta processuale di svolgere un’ opposizione al decreto ingiuntivo, nonostante la improbabilità di successo di tale iniziativa, corrispondeva all’interesse del cliente a resistere alla richiesta di pagamento che non era in grado di onorare nell’immediato, contestandone il fondamento giuridico, ma che anche il successivo comportamento di dissuasione tenuto dalla professionista fosse conforme all’obbligo di tutelare gli interessi del cliente che stava affrontando un procedimento ad alto rischio di soccombenza.

Quanto al giudizio di responsabilità del professionista per l’attività professionale che gli compete, vale il principio generale espresso da Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11213 del 09/05/2017 secondo cui

la responsabilità del prestatore di opera intellettuale, nei confronti del proprio cliente, per negligente svolgimento dell’attività professionale presuppone la prova, da parte di costui, del danno e del nesso causale tra la condotta del professionista ed il pregiudizio del cliente, formando oggetto di un accertamento che non è sindacabile in sede di legittimità, se correttamente motivato”

La sentenza di merito, sotto questo aspetto, si pone in linea con quanto indicato dalla Corte di legittimità circa gli oneri di prova correlati a una responsabilità per inadempimento del mandato alle liti e alla prova del nesso causale della responsabilità professionale dell’avvocato nel gestire il mandato alle liti, quest’ultima gravante sulla parte che agisce.

Non vi è dubbio che sia stato provato che l’avvocato è incorso in un errore procedurale imperdonabile nel depositare in ritardo la citazione in opposizione, che ha condotto la Corte di merito a non riconoscergli alcun diritto al compenso. Ma è anche vero che in tale caso la parte intende addurre alla professionista una responsabilità per non essere stato preventivamente informato che la lite sarebbe stata inutile e costosa. Riguardo agli oneri inerenti al mandato alle liti, valgono certamente le norme deontologiche che regolano specificamente l’attività professionale dell’avvocato. Pertanto, da esse non si evince un generale obbligo di preventiva informativa sul possibile esito della lite, bensì una informativa sulle caratteristiche e sulla importanza della lite per cui accetta il mandato, nonché sulle possibili soluzioni della medesima e, se richiesto, sulle previsioni di massima inerenti alla durata e ai costi presumibili del processo.

Inoltre, vige l’obbligo dell’avvocato di comunicare alla parte assistita la necessità del compimento di determinati atti al fine di evitare prescrizioni, decadenze o altri effetti pregiudizievoli relativamente agli incarichi in corso di trattazione. Ancora, il difensore ha l’obbligo di riferire al proprio assistito il contenuto di quanto appreso nell’esercizio del mandato se utile all’interesse di questi.

Quella dell’avvocato, dunque, è un’obbligazione di mezzi, ove il comportamento diligente si misura in relazione alle caratteristiche della lite e all’interesse del cliente a coltivarla, e non solo in base al prevedibile esito della lite. Per questo aspetto, rileva il precedente reso da Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11906 del 10/06/2016, ove esprime che

in tema di responsabilità dell’avvocato verso il cliente, è configurabile imperizia del professionista allorché questi ignori o violi precise disposizioni di legge, ovvero erri nel risolvere questioni giuridiche prive di margine di opinabilità, mentre la scelta di una determinata strategia processuale può essere foriera di responsabilità purché la sua inadeguatezza al raggiungimento del risultato perseguito dal cliente sia valutata (e motivata) dal giudice di meritoex ante” e non “ex post“, sulla base dell’esito del giudizio, restando comunque esclusa in caso di questioni rispetto alle quali le soluzioni dottrinali e/o giurisprudenziali presentino margini di opinabilità – in astratto o con riferimento al caso concreto – tali da rendere giuridicamente plausibili le scelte difensive compiute dal legale ancorché il giudizio si sia concluso con la soccombenza del cliente”.

Viene, in tali casi, conseguentemente a configurarsi una responsabilità professionale dell’avvocato per violazione degli obblighi inerenti al mandato alla lite, solo in caso di assoluta inerzia del difensore, a prescindere dal pronostico sull’esito della lite, per avere comunque esposto il cliente all’incremento del pregiudizio iniziale, se non altro a causa delle spese processuali cui lo stesso va incontro per la propria difesa e per quella della parte avversa.

Del resto, in un ordinamento ove non vige la regola dello “stare decisis” , tipica degli ordinamenti di common law, ed è garantito un doppio grado di merito e un giudizio di legittimità, il fatto che i precedenti giurisprudenziali, siano tesi a garantire un’uniforme applicazione e interpretazione del diritto, e dunque una prevedibilità delle decisioni, non significa che l’avvocato, nella strategia difensiva che discrezionalmente sceglie e assume nell’interesse del cliente, sia tenuto ad avviare controversie solo sulla base di un pronostico di esito favorevole, ma sia bensì obbligato a valutare, prima di accettare il mandato alla lite, l’interesse del cliente a coltivare la lite nonostante la sussistenza di precedenti sfavorevoli e/o di strumenti conciliatori, tenendo una condotta processuale di continua attenzione all’interesse del cliente, al fine di comprimere rischi di attesa, costi inutili e condanne al risarcimento della controparte per lite temeraria, ex art. 96 cod. proc. civ. Nel caso in questione, pertanto, non essendo in discussione che si prospettasse per l’avvocato l’accettazione di un mandato alla lite per una causa rientrante nel novero delle «cause perse ab initio», la strategia processuale assunta dal legale nell’ accettare l’incarico e nell’ avviare un’opposizione a decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo di sicuro esito sfavorevole per poi coltivare vie conciliatorie, non può solo per questo dirsi pregiudizievole per gli interessi del cliente, e ciò anche in relazione alla mancata preventiva informativa sul probabile insuccesso della lite a un cliente dimostratosi comunque inizialmente interessato a resistere in prima battuta alla richiesta di pagamento e a intavolare vie conciliative, poi non più accettate.

In definitiva, la Corte di merito, in tale ambito, ha esaurientemente valutato il complessivo comportamento nell’ accettare e nell’espletare il mandato alla lite tenuto dall’avvocato, che ha dimostrato di avere valutato prima il concreto interesse del cliente in rapporto alle caratteristiche della lite, e ha coltivato poi possibilità transattive, non più accettate dal cliente, ed è quindi pervenuta alla corretta conclusione che, sotto il profilo della diligenza cui era tenuta la professionista, il comportamento assunto fosse conforme ai parametri di correttezza professionale.

Avv. Alessandra Di Raimondo


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