LA FOTOCOPIA DI UN ATTO PUBBLICO INESISTENTE INTEGRA IL REATO EX ART 476 C.P.

La Corte di Cassazione aderisce al suo precedente principio secondo il quale integra il reato di falsità materiale in atti pubblici la riproduzione fotostatica di un documento non esistente in originale

Con la sent. n. 5452/2018, i giudici di Cassazione hanno ribadito la volontà di aderire al  precedente principio secondo cui integra il reato ex art. 476 c.p. – falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici -la formazione di un documento presentato quale mera riproduzione fotostatica di un atto pubblico, non esistente in originale, del quale si intenda attestarne artificiosamente l’esistenza ed i conseguenti effetti probatori.

Il caso

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello avevano confermato la condanna dell’imputato per i reati di falso ex artt. 476 e 482 c.p. e truffa aggravata.

L’art. 476 c.p. dispone quanto segue:

“Il pubblico ufficiale che, nell’esercizio delle sue funzioni, forma, in tutto o in parte, un atto falso o altera un atto vero, è punito con la reclusione da uno a sei anni.

Se la falsità concerne un atto o parte di un atto, che faccia fede fino a querela di falso, la reclusione è da tre a dieci anni”.

La Corte di Cassazione, intervenuta sulla questione ha dichiarato infondato il motivo di ricorso dell’imputato.

Secondo costante orientamento giurisprudenziale:

“integra il reato di cui all’art. 476 c.p., la formazione di un documento presentato come la riproduzione fotostatica di un atto pubblico invero inesistente in originale”.

Anche se vi sono precedenti contrari, gli Ermellini hanno ritenuto di aderire a quella giurisprudenza maggioritaria, secondo cui “integra il reato di cui all’art. 476 c.p. la formazione di un atto presentato come la riproduzione fotostatica di un documento originale, in realtà inesistente, del quale si intenda artificiosamente attestare l’esistenza e i connessi effetti probatori, perché l’atto è idoneo a trarre in inganno la pubblica fede”.

Detto orientamento appena espresso deve essere preferito in quanto l’esistenza di una fotocopia avente il contenuto apparente di un atto pubblico dimostra che tale atto presupposto è stato contraffatto, per poterne trarre una copia fotostatica, ovvero che è stato alterato un documento pubblico esistente.

Ad ogni modo, affinché si configuri il reato in esame non è necessario che vi sia un intervento materiale su un atto pubblico, essendo sufficiente che attraverso la falsa rappresentazione della realtà operata dalla fotocopia tale atto appaia esistente, con lesione della pubblica fede.

Per tale motivo deve ritenersi integrare il reato ex art. 476 c.p., anche l’alterazione compiuta su una fotocopia di un atto pubblico esistente, ovvero il fotomontaggio di più pezzi di atti veri, o la creazione artificiosa di una fotocopia di un atto inesistente.

Come precisato dagli Ermellini:

“la falsità è integrata non tanto e non solo dalla modificazione di una realtà probatoria preesistente, ma anche dalla mendace e attuale rappresentazione di una siffatta realtà probatoria, creata appunto attraverso un simulacro o una immagine cartolare di essa, che è intrinsecamente idonea a ledere il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, costituito dalla pubblica affidabilità di un atto, qualunque esso sia, proveniente dalla pubblica amministrazione”.

Da ultimo si deve rammentare quanto espresso dalla Corte di Cassazione in una recente sentenza:

“Non integra il delitto di falsità materiale previsto dagli artt. 476 e 482 c.p., la condotta di colui che esibisca la falsa fotocopia di un provvedimento amministrativo inesistente, qualora si tratti di fotocopia esibita ed usata come tale dall’imputato e, pertanto, priva dei requisiti, di forma e di sostanza, capaci di farla sembrare un atto originale o la copia conforme di esso ovvero comunque documentativa dell’esistenza di un atto corrispondente”

Dott.ssa Benedetta Cacace


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