IL CONIUGE DI NUOVE NOZZE E LA PENSIONE DI REVERSIBILITA’

PENSIONE DI REVERSIBILITÀ TRA EX E NUOVO CONIUGE

La c.d. pensione di reversibilità, è il trattamento pensionistico che viene riconosciuto in caso di decesso del pensionato in favore dei familiari superstiti.

L’emolumento è pari ad una quota percentuale della pensione del dante causa a beneficio del coniuge o dell’unito civilmente; del coniuge separato; del coniuge divorziato (purché titolare dell’assegno divorzile e che non sia passato a nuove nozze); del coniuge di nuove nozze; dei figli minorenni alla data del decesso del dante causa; dei figli inabili al lavoro e a carico del genitore al momento del decesso, indipendentemente dall’età; dei figli maggiorenni studenti, a carico del genitore al momento del decesso, che non prestino attività lavorativa e che frequentano scuole o corsi di formazione professionale equiparabili ai corsi scolastici, nei limiti del 21° anno di età; dei figli maggiorenni studenti, a carico del genitore al momento del decesso, che non prestino attività lavorativa, che frequentano l’università, nei limiti della durata legale del corso di studi e non oltre il 26 anno di età.

In assenza del coniuge e dei figli o se, pur esistendo non abbiano diritto alla pensione, questa può essere riconosciuta ai genitori del pensionato, che al momento della morte di quest’ultimo abbiano compiuto il 65° anno di età e non siano titolari di pensione e risultino a carico del lavoratore deceduto.

Al pari, in assenza del coniuge, dei figli o del genitore o se, pur esistendo essi non abbiano diritto alla pensione, questa può essere riconosciuta ai fratelli celibi e sorelle nubili del pensionato, che al momento della morte di quest’ultimo siano inabili al lavoro, non siano titolari di pensione e siano a carico del lavoratore deceduto.

Per la determinazione della quota di pensione di reversibilità da dividere tra il coniuge divorziato ed il coniuge di nuove nozze, decide il Tribunale.

In materia si è recentemente espressa la I Sezione della Corte di Cassazione che, con ordinanza del  25 agosto 2022, n. 25369 ha stabilito che

In caso di decesso dell’ex coniuge, la ripartizione dell’indennità di fine rapporto tra il coniuge divorziato e il coniuge superstite, che abbiano entrambi i requisiti per la pensione di reversibilità, deve essere effettuata ai sensi della l. n. 898 del 1970, art. 9, comma 3, oltre che sulla base del criterio legale della durata dei matrimoni, anche ponderando ulteriori elementi, correlati alla finalità solidaristica dell’istituto e individuati dalla giurisprudenza, quali l’entità dell’assegno riconosciuto al coniuge divorziato e le condizioni economiche di entrambi, tenendo inoltre conto della durata della convivenza, ove il coniuge interessato alleghi, e provi, la stabilità e l’effettività della comunione di vita precedente al proprio matrimonio con il de cuius.”

In particolare, il Tribunale di primo grado, aveva attribuito alla coniuge divorziata il 50% della pensione di reversibilità valutando la durata effettiva di entrambi i matrimoni, che era quasi equivalente. La Corte d’Appello poi, aveva aggiunto una quota pari al 5% per la donna il cui matrimonio con il de cuius era durato dippiù.

Così, la controparte, aveva adito la Suprema corte che, con sentenza n. 5136/2014 del 5 marzo 2014, riteneva insufficiente e contraddittoria la motivazione della sentenza impugnata, giacché, pur avendo dato atto della durata trentennale del matrimonio e dell’età avanzata della richiedente la maggior somma, aveva motivato in modo generico in ordine alla situazione patrimoniale di una  moglie, senza aver riguardo all’altra.

Così poi, la Corte d’appello, investita della causa in diversa composizione, calcolando la durata dei matrimoni, l’età e le condizioni economiche del coniuge divorziato e del coniuge superstite, determinava la percentuale del 25% della pensione di reversibilità spettante alla moglie di seconde nozze.

La coniuge divorziata proponeva un nuovo ricorso in Cassazione, lamentando la violazione della L. n. 898 del 1970, art. 9, comma 3 e l’erronea applicazione del calcolo matematico della durata dei matrimoni.

Nel rigettare le doglianze della ricorrente, la Suprema Corte, ha rilevato quanto su indicato nella massima trascritta che richiamava un principio già espresso dalla Corte stessa, con sentenza n. 21247 del 23 luglio 2021.

Dunque il ricorso veniva respinto, giacché veniva ritenuto che il Giudice di merito avesse  correttamente apprezzato i diversi elementi necessari alla valutazione della fattispecie concreta, anche considerato che entrambe le donne, nulla avevano mai eccepito sulla durata dei rispettivi matrimoni.

Leggi la sentenza

Cassazione civile sez. I 25.08.2022 n.25369