I figli possono portare anche il cognome della madre

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 286 del 21 dicembre 2016 ha previsto l’incostituzionalità della norma che prevede l’attribuzione automatica del cognome paterno al figlio legittimo, in presenza di una differente volontà dei genitori

La Consulta con la sentenza n. 286, pubblicata il 21 dicembre 2016, dichiara incostituzionale la norma, desumibile dagli articoli 237, 262 e 299 c.c., nonché dall’articolo 72 primo comma R.d. n. 1238/1939 ed articoli 33 e 34 D.p.r. n. 396/2000, nella parte in cui non permette ai genitori che ne fanno espressa richiesta alla nascita, di attribuire al figlio anche il cognome materno.

La vicenda:

La questione di legittimità, sollevata dalla Corte d’Appello di Genova, riguardava un giudizio di reclamo contro il rigetto, da parte dell’ufficiale di stato civile, della richiesta di attribuire al figlio della coppia ricorrente anche il cognome materno, in aggiunta a quello paterno.

L’automatica attribuzione del cognome del padre al figlio nato in costanza di matrimonio, in presenza di una differente volontà genitoriale, comportava la violazione dell’art. 2 Cost., con conseguente limitazione del diritto all’identità personale.

Inoltre si lamentava il contrasto con gli articoli 3 e 29, secondo comma Cost., con conseguente lesione del diritto di uguaglianza e di dignità dei genitori nei confronti della prole e dei coniugi tra loro.

Infine veniva ravvisata la violazione dell’articolo 117, primo comma della Costituzione, in riferimento all’articolo 16, comma 1, lett. g) della Convenzione sulla eliminazione di ogni tipo di discriminazione nei confronti della domma.

La decisione della Corte:

Nell’ordinanza n. 176 del 1988, la Corte riconosceva che:

“[…] Sarebbe possibile, e probabile consentaneo all’evoluzione della coscienza sociale, sostituire la regola vigente in ordine alla determinazione del nome distintivo dei membri della famiglia costituita dal matrimonio con un criterio diverso, più rispettoso dell’autonomia dei coniugi, il quale concili i due principi sanciti dall’articolo 29 Cost., anziché avvalersi dell’autorizzazione a limitare l’uno in funzione dell’altro […]”.

Molti anni dopo, nella sentenza n. 61 del 2006, il Giudice, in considerazione dell’immutato quadro normativo sottolineava l’incompatibilità della norma con i valori dell’uguaglianza tra i coniugi.

Il sistema di attribuzione del cognome era definito come:

“Il retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico, e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna”.

Nella sentenza in esame, la Consulta ha affermato che:

“La piena ed effettiva realizzazione del diritto all’identità personale, che nel nome trova il suo primo ed immediato riscontro, unitamente al riconoscimento del paritario rilievo di entrambe le figure genitoriali nel processo di costruzione di tale identità personale, impone l’affermazione del diritto del figlio ad essere identificato, sin dalla nascita, attraverso l’attribuzione del cognome di entrambi i genitori. La previsione dell’inderogabile prevalenza del cognome paterno sacrifica il diritto all’identità del minore, negandogli la possibilità di essere identificato, sin dalla nascita anche con il cognome materno”.

In merito al profilo di legittimità, consistente nella violazione del principio di uguaglianza dei coniugi, la Corte ha evidenziato che:

“Il criterio della prevalenza del cognome paterno, e la conseguente disparità di trattamento dei coniugi, non trovano alcuna giustificazione né nell’art. 3 Cost., né nella finalità di salvaguardia dell’unità familiare, di cui all’art. 29, secondo comma, Cost.”.

In conclusione la Corte di Cassazione ha affermato che:

“In quanto espressione di una superata concezione patriarcale della famiglia e dei rapporti fra coniugi, non è compatibile né con il principio di uguaglianza, né con il principio della loro pari dignità morale e giuridica”.

In base a quanto appena esposto, la Corte ha dichiarato:

  • L’illegittimità costituzionale della norma desumibile dagli articoli 237, 262 e 199 c.c.; il primo comma dell’art. 72 del regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238; gli artt. 33 e 34 del d. P. R. 3/11/2000 n. 396 nella parte in cui non dà la possibilità ai coniugi, di comune accorso, di aggiungere al momento della nascita dei figli anche il cognome della madre
  • Di conseguenza, ai sensi dell’articolo 27 della legge 11 marzo 1953, n.87, l’illegittimità costituzionale del primo comma dell’articolo 262 c.c., nella parte in cui non permette ai genitori, di comune accorso, di trasmettere al figlio il cognome della madre al momento della nascita:
  • Ai sensi dell’art. 27 l. n. 87/1953, l’illegittimità costituzionale del terzo comma dell’art. 299 c.c., nella parte in cui non consente ai genitori, in caso di adozione di attribuire al momento dell’adozione il cognome materno.

 

Dott.ssa Benedetta Cacace