PER FAR SCATTARE LA CONDANNA DI DIFFAMAZIONE SU FACEBOOK SERVE L’INDIRIZZO IP

I giudici di Cassazione dispongono che devono essere risolti i dubbi circa l’indirizzo IP da cui proviene il messaggio diffamatorio sui social per far scattare la condanna per diffamazione

Non può scattare la condanna per diffamazione se non è accertato l’indirizzo IP da cui proviene il messaggio che offende la reputazione.

Ciò è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, V sezione penale, nella sentenza n. 5353 del 2018 con la quale ha accolto il ricorso presentato da una donna, condannata per il reato di cui all’art. 959, comma 3, c.p.

L’imputata era stata ritenuta colpevole di aver offeso la reputazione di un Sindaco, divulgando un messaggio diffamatorio attraverso Facebook. Tuttavia, in Cassazione la donna sostiene che la motivazione del giudice a quo sia illogica e abbia violato i criteri legali di valutazione della prova.

La donna contesta la Corte territoriale nella parte in cui ha considerato a lei riferibile il messaggio dato che proviene da un profilo riportante il suo nome e il suo cognome e in base all’argomento di discussione del forum su cui era postato, inerente alle pretese dei lavoratori del Comune, ritenute di interesse della donna che, all’epoca dei fatti, svolgeva attività di sindacalista.

V. anche

L’imputata sostiene che gli indizi non convengano dato che non è stato identificato l’indirizzo IP di provenienza del post, m la stessa non conosceva la persona del Sindaco e non aveva mai avuto alcun contatto con lo stesso; ancora, la donna sottolinea il differente ambito di interesse dell’attività sindacale da lei svolta rispetto ai lavoratori di cui al forum, appartenenti a categorie di lavoratori c.d. socialmente utili del comune.

Secondo la Corte di Cassazione, il ricorso è fondato: la motivazione della sentenza di appello non si confronta con le specifiche lagnanze mosse dalla difesa, inerenti all’indicata intestazione dell’IP individuato in origine dalla parte civile, riferibile al profilo Facebool registrato a nome dell’altro sindacalista, forum sulla cui bacheca, secondo la donna, intervenivano numerosi utenti che ben avrebbero potuto usare il suo nickname.

La sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio, stante l’insufficiente motivazione circa il prospettato dubbio riguardante l’eventualità che terzi abbiano potuto usare il nickname della donna per inviare il messaggio.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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