DIFFAMAZIONE  –  LE INIZIALI DEL NOME

IL CASO

La vicenda tratta la pubblicazione, in un giornale locale, del risultato della perquisizione della Polizia di Stato nei confronti di un soggetto residente in un piccolo paese, noto a tutti per la sua attività di tatuatore e indagato per spaccio di sostanze stupefacente, a seguito della denuncia da parte di un altro soggetto, per una presunta cessione di sostanza psicotropa.

In particolare, il risultato delle indagini, non portava elementi sufficienti a sostenere l’accusa ex art. 73 del D.P.R. 309/90, ma esponeva il fatto che, nella abitazioni dell’indagato era stata scovata una quantità di stupefacente (marijuana) utile a ritenerlo un consumatore abituale di detta sostanza.

Il giornale locale, appreso il risultato delle indagini, provvedeva a pubblicare un articolo dove veniva menzionato il fatto, identificando il soggetto con le sole iniziali del nome. Peraltro nella narrazione dei fatti non mancava di ricordare altri elementi, generici ma identificativi del soggetto, quali: l’età, la professione e l’approssimativa posizione dove era stata svolta la perquisizione domiciliare, oltre al fatto che la sostanza era stata rinvenuta ‘sul tavolo della cucina, accanto a diverse riviste specializzate per professionisti tatuatori.’

All’indomani,  il soggetto indagato, veniva avvisato da alcuni conoscenti del fatto che nel paesino molte persone avevano letto l’articolo pubblicato e che in tanti erano riusciti ad identificarlo e ad etichettarlo  come tossicodipendente. Infuriato per l’accaduto e preoccupato per i danni che una tale affermazione  avrebbero potuto arrecargli (da un punto di vista di affidabilita’ professionale dato il delicato lavoro svolto), provvedeva a contattare l’editore dell’articolo che, a suo avviso, aveva agito in modo illegittimo.  Questi si difendeva adducendo che la menzione delle sole iniziali del nome non erano sufficienti alla identificazione dell’indagato e che pertanto non era stato commesso alcun illecito.

Ad una prima analisi della circostanza si potrebbe pensare che, essendosi limitato l’editore alla pubblicazione delle sole iniziali del nome e a generici elementi riguardanti il soggetto, non sussistono i presupposti per il reato di diffamazione.

LE  NORME RILEVANTI

– infatti, l’art. 21 della Costituzione, ai commi 1 e 2, disciplina il diritto di cronaca e dispone che: ‘Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con lo scritto, con la parola e ogni altro mezzo di diffusione’ e che: ‘La stampa non puo’ essere soggetta ad autorizzazioni e censure’;

–  Tuttavia ‘E’ punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a milletrentadue euro’,  secondo il primo comma dell’art. 595 del codice penale ‘Chiunque comunicando con piu’ persone, offende l’altrui reputazione’.

(Tale disposizione persegue la condotta dell’offendere persone non presenti o comunque non in grado di percepire l’offesa e trova il proprio fondamento nella necessita’ di garantire la reputazione dell’individuo, ossia l’onore inteso quale considerazione che il mondo esterno ha del soggetto stesso).

E al terzo comma prevede un aggravante della pena ‘se l’offesa e’ recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicita’;

– considerato che che i giornalisti possono pubblicare i nomi di persone indagate solo rispettando le norme sul segreto investigativo poste dal Codice di Procedura Penale, ossia nel rispetto di quanto previsto dall’art. 329, co. 1 C.p.p. secondo il quale: ‘Gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e della polizia giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari.’;

– e sono tenuti a rispettare le norme sulla privacy e in particolare quanto sancito dall’art. 2 del Dlgs n. 196 del 2003 secondo il quale deve essere garantito che ‘il trattamento dei dati personali si svolga nel rispetto dei diritti, delle libertà fondamentali, nonché della dignità dell’interessato, con particolare riferimento alla riservatezza, all’identità personale e al diritto alla protezione dei dati personali’.

Infatti, il fondamento della disciplina sulla privacy e’ dato dalla necessita’ del consenso per il trattamento dei dati personali e dal principio della necessita’ di minimizzazione nell’utilizzazione dei dati personali ed identificazione, fino ad escludere il trattamento quando le finalita’ perseguite possono essere realizzate mediante dati anonimi’. E ogni danno cagionato da un trattamento illecito dà luogo al risarcimento del danno.

CONSIDERAZIONI SULL’APPLICAZOINE DELLE NORME AL CASO SPECIFICO

In sintesi, la privacy trova una sua limitazione nel rapporto con il diritto di cronaca inteso come diritto ad informare. Ma in questo specifico caso, la necessita’ di informare il pubblico di quanto successo e il diritto alla riservatezza dell’indagato sono stati effettivamente rispettati?

Nell’articolo pubblicato nella rivista non compaiono il nome e il cognome dell’indagato ma solamente dei riferimenti generici, quali le iniziali del nome e qualche particolare oggettivo relativo al luogo in cui e’ stata effettuata la perquisizione, che non rivelano espressamente l’identita’ del soggetto denunciato.

Sembrerebbero pertanto non sussistenti i presupposti per una querela per diffamazione.

Ma, sorge spontanea la considerazione che il pubblico, proprio in base ai dati pubblicati, sono riusciti a risalire alla identita’ della persona incriminata e quanto rivelato nell’articolo ha senz’altro leso la  sua reputazione.

Quindi che tutela viene offerta nella fattispecie  per la persona indagata?

LA SENTENZA 54177/2016

Con la sentenza della Cassazione Civile n. 54177/16 del 20.12.2016 e’ stato chiarito che

quando i fatti di cui si parla si sono svolti in un ambito territoriale ristretto e possono avere rilievo per un pubblico di lettori in condizione di collegare le notizie ricavabili dal testo incriminato, allora è possibile presentare querela e agire contro il responsabile dell’articolo offensivo’.

L’indicazione del luogo di residenza, di elementi riguardanti la professione svolta in un contesto territoriale piccolo e le iniziali del soggetto possono infatti facilmente condurre all’individuazione del destinatario del messaggio.

‘Questi elementi, e tutti gli altri che la vicenda offre, debbono essere complessivamente valutati, di guisa che possa ricavarsi, con ragionevole certezza, l’inequivoca individuazione dell’offeso, sia in via processuale, sia come fatto preprocessuale, cioe’ come piena e immediata consapevolezza che chiunque abbia avuto, leggendo l’articolo, dell’identita’ del destinatario’.

Pertanto, in applicazione di tale principio, nel caso qui considerato, ritengo sussistente il delitto di diffamazione con l’aggravante di cui al terzo comma dell’art. 595 del codice penale.

Avv. Elisa Bustreo