DIFFAMAZIONE E FRASI OFFENSIVE E SCONVENIENTI TRA COLLEGHI

Due avvocati che alzano i toni nei propri atti? È diffamazione?

Corte di Cassazione, quinta sezione penale, sentenza n. 28558 del 2018

Il Giudice di Pace di Pavia, aveva condannato alla pena pecuniaria ed al risarcimento del danno un avvocati, per il reato di diffamazione commesso ai danni di un collega. All’’imputato veniva contestato l’uso, all’interno di una comparsa conclusionale, della frase:

“la difesa dell’odierno appellato, con affermazioni denigratorie sulle quali la scrivente difesa, in questa sede, sorvola, vuole far credere…”

ritenuta offensiva della reputazione del collega.

Avverso detta decisione l’imputato aveva proposto ricorso, sostenendo:

con il primo motivo:

l’errata applicazione dell’art. 595 c.p., eccependo che la frase incriminata difetterebbe di portata offensiva, non ledendo la reputazione del collega;

con il secondo motivo:

lamenta l’errata applicazione dell’art. 598 c.p. in merito al mancato riconoscimento dell’esimente: anche ammettendo che la frase incriminata avesse una qualche portata offensiva, essa riguarderebbe l’oggetto della causa e sarebbe funzionalmente collegata allo sviluppo della tesi difensiva.

L’avvocato imputato avrebbe reagito ad una provocazione del collega, e nello specifico all’accusa di aver unilateralmente confezionato dei documenti in accordo con il suo assistito.

V. anche

Il ricorso è fondato e per tale motivo deve essere accolto.

In base all’art. 569 c.p.p. l’imputato può appellare le sentenze del giudice di pace con condanna alla pena pecuniaria nel caso in cui queste contengano anche la condanna al risarcimento del danno derivante dal reato, anche se la statuizione venga resa in forma generica o, come nel caso di specie, non venga direttamente investita dall’imputazione.

Ciò non toglie che l’imputato conservi anche il diritto di ricorrere in maniera diretta per Cassazione, qualora, come nel nostro caso, si limiti a prospettare unicamente violazioni di legge.

Secondo costante giurisprudenza, oggetto di tutela nel diritto di diffamazione è l’onore in senso oggettivo o esterno; la reputazione del soggetto passivo del reato, da intendersi come il senso della dignità personale in conformità all’opinione del gruppo sociale.

Ciò che viene tutelato attraverso l’incriminazione di cui si tratta è l’opinione sociale del valore della persona offesa dal reato. Per tale motivo è necessario che in caso di comunicazione scritta o orale, che i termini dispiegati o il concetto trasmesso siano oggettivamente idonei a ledere la reputazione del soggetto passivo.

Nel caso in esame si deve escludere che la terminologia utilizzata dall’imputato abbia prodotto una lesione concreta dell’interesse tutelato dalla norma.

V. anche

Gli Ermellini hanno chiarito che:

“la sussistenza di un reato non può essere ancorata alla sensibilità della presunta persona offesa, mentre ciò che rileva, oltre al dolo generico dell’agente, è la obiettiva capacità offensiva delle espressioni utilizzate”.

La frase incriminata si esaurisce in un giudizio critico, scortese in riferimento alle osservazioni contenute nello scritto di controparte ed espresso attraverso una forma espositiva non sovrabbondante e priva di accenti indicativi della volontà di aggredire la controparte.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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