DANNO DA COSE IN CUSTODIA: LA RILEVANZA DEL “PIÙ PROBABILE CHE NON”

PER VALUTARE LA PROBABILITÀ BISOGNA RICORRERE AGLI INDIZI CHE SIANO GRAVI CERTI E CONCORDANTI DA CUI POI PASSARE ALLE IPOTESI RICOSTRUTTIVE DEL NESSO DI CAUSA, ESCLUDENDO QUELLE MENO PROBABILI, INVECE OPTANDO PER L’IPOTESI CHE SPIEGHI IL FATTO CON MAGGIORE PROBABILITÀ.

Sulla prova del nesso di causalità e dunque sulla regola secondo cui il nesso di causa è provato quando la tesi a favore (del fatto che un evento sia causa di un altro) è più probabile di quella contraria (che quell’evento non sia causa dell’altro): il che si esprime con la formula del ‘più probabile che non’. Infatti, nel caso di concorso di cause, qualora l’evento dannoso sia ipoteticamente riconducibile a una pluralità di cause, si devono applicare i criteri della “probabilità prevalente” e del “più probabile che non”; pertanto, il giudice di merito è tenuto, dapprima, a eliminare, dal novero delle ipotesi valutabili, quelle meno probabili (senza che rilevi il numero delle possibili ipotesi alternative concretamente identificabili, attesa l’impredicabilità di un’aritmetica dei valori probatori), poi ad analizzare le rimanenti ipotesi ritenute più probabili e, infine, a scegliere tra esse quella che abbia ricevuto, secondo un ragionamento di tipo inferenziale, il maggior grado di conferma dagli elementi di fatto aventi la consistenza di indizi, assumendo così la veste di probabilità prevalente”.

Si tratta della massima enunciata dalla recente pronuncia della Corte di Cassazione, sez. III, del 26/04/2023, n.10978.

In particolare nella pronuncia in esame, la Suprema Corte applicava il principio del “più probabile che non” (ossia il principio di diritto per cui la probabilità che un evento sia causa di un altro, è più alta rispetto alla probabilità che non lo sia) in tema di responsabilità per danni da cose in custodia.

Nella vicenda sottesa, un uomo era deceduto in un sinistro stradale, alla guida della sua motocicletta, mentre tentava un sorpasso. Il defunto infatti cominciava il sorpasso e subito dopo si rendeva conto che dalla corsia opposta sopraggiungeva un autoarticolato, così frenava e vi rinunciava, ma senza successo perché finiva in ogni caso ad urtare il camion.

Così gli eredi citavano in Giudizio sia l’Anas che la Reale Mutua assicurazioni per ottenere un congruo risarcimento giacché si rilevava che nel punto in cui avveniva il sinistro vi era un’ anomalia del manto stradale e che tale condizione era concausa dell’incidente e poi che dietro all’autoarticolato, vi fosse un altro veicolo, però rimasto non identificato che avrebbe partecipato alla causazione dell’evento (la Reale Mutua era la compagnia di assicurazione del Fondo vittime della strada).

Il Tribunale in primo grado, pur riconoscendo la responsabilità del de cuius, che aveva adottato una condotta di guida imprudente, rilevava che effettivamente il manto stradale aveva contribuito alla causazione dell’evento, escludendo però che fosse presente un veicolo non identificato.

La decisione veniva impugnata e la Corte d’Appello riteneva l’esclusiva responsabilità del de cuius e disponeva per la restituzione delle somme eventualmente incassate per effetto della sentenza di primo grado.

Quindi gli eredi proponevano ricorso in Cassazione, che veniva accolto.

Per gli ermellini quando si tratti di verificare se la cosa ha contribuito causalmente all’evento insieme ad altre concause, quel principio di diritto è specificato nel modo seguente:

qualora l’evento dannoso sia ipoteticamente riconducibile a una pluralità di cause, si devono applicare i criteri della “probabilità prevalente” e del “più probabile che non”; pertanto, il giudice di merito è tenuto, dapprima, a eliminare, dal novero delle ipotesi valutabili, quelle meno probabili (senza che rilevi il numero delle possibili ipotesi alternative concretamente identificabili, attesa l’impredicabilità di un’aritmetica dei valori probatori), poi ad analizzare le rimanenti ipotesi ritenute più probabili e, infine, a scegliere tra esse quella che abbia ricevuto, secondo un ragionamento di tipo inferenziale, il maggior grado di conferma dagli elementi di fatto aventi la consistenza di indizi, assumendo così la veste di probabilità prevalente”. (cfr. Cass. 25885 del 2022).

Per valutare la probabilità bisogna ricorrere agli indizi che siano gravi certi e concordanti da cui poi passare alle ipotesi ricostruttive del nesso di causa, escludendo quelle meno probabili, invece optando per l’ipotesi che spieghi il fatto con maggiore probabilità.

Dunque la pronuncia impugnata veniva cassata e la causa rinviata alla Corte di Appello, in diversa composizione, per la decisione sul merito e le spese.

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Cassazione civile sez. III, 26.04.2023, (ud. 30.03.2023, dep. 26.04.2023), n.10978