CONCORSO PUBBLICO: ESCLUSO PERCHÉ TATUATO

È lecita l’esclusione di un candidato perché tatuato?

TAR, Piemonte-Torino, sezione I, sentenza n. 461 del 2018

È lecito escludere un candidato ad un concorso pubblico perché tatuato? Vediamo quanto disposto dal Tar con la sentenza in commento.

Nel caso in questione, il ricorrente aveva partecipato al concorso pubblico per il reclutamento di 907 agenti di Polizia di Stato, svoltosi nel 2008. L’uomo dopo aver superato sia le prove scritte che la prova fisica, era stato dichiarato non idoneo a causa della presenza di un tatuaggio in una zona del corpo non coperta dalla divisa.

In seguito all’impugnazione del provvedimento, l’Amministrazione aveva provveduto in un primo momento, a riconvocare il ricorrente per l’espletamento delle ulteriori prove fisiche, dichiarandolo idoneo con riserva, in attesa della pronuncia di merito.

Avendo superato la prova attitudinale, nel 2010 veniva approvata la rettifica della graduatoria, e l’uomo era stato chiamato per frequentare il corso di formazione.

A fine del 2010 l’Amministrazione aveva annullato in autotutela il provvedimento di esclusione dal concorso, dichiarando il ricorrente vincitore ed inserendolo definitivamente in graduatoria.

Tuttavia, ciò che con il presente ricorso si domanda e la condanna del Ministero dell’Interno alla ricostruzione della carriera, alla restitutio in integrum, e al risarcimento dei danni derivanti dall’illegittimo ritardo nell’assunzione.

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Secondo risalente orientamento giurisprudenziale, la restitutio in integrum, agli effetti economici e giuridici, spetta al pubblico dipendente, solamente nel caso di sentenza che riconosca l’illegittima interruzione di un rapporto di lavoro già in corso e non nel caso di giudicato che riconosca illegittimo il diniego di costituzione del rapporto medesimo.

I giudici hanno sottolineato che:

“Trattandosi di una ritardata costituzione di un rapporto di impiego conseguente all’illegittima esclusione dalla procedura di assunzione, spetta all’interessato, ai fini giuridici, il riconoscimento della medesima decorrenza attribuita a quanti siano stati nella medesima procedura nominati tempestivamente, ma ai fini economici non può riconoscersi il diritto alla corresponsione delle retribuzioni relative al periodo di ritardo nell’assunzione”.

In ogni caso, ex art. 2043 c.c., può spettare un risarcimento del danno ingiusto subito in conseguenza delle illegittimità risalenti ai comportamenti dell’amministrazione.

In base a costante giurisprudenza, in materia di risarcimento da atto illegittimo delle pubbliche amministrazioni si deve applicare il principio espresso dall’art. 2697 c.c., secondo il quale:

“Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.

Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’efficacia si fonda”.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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