COMMETTE REATO IL FIGLIO CHE OSSESSIONA IL PADRE CON SMS E EMAIL?

Secondo la Corte di Cassazione il figlio che invia continuamente contati indesiderati integra un comportamento idoneo a integrare il reato di molestie

I rapporti intercorrenti tra genitori e figli alcune volte sono complessi e, può anche succedere che si finisca innanzi al giudice penale.

La Corte di Cassazione, con la sentenza numero 343 del 2018 ha affrontato il caso di un signore, imputato per aver effettuato un gran numero di telefonate al padre, ed avergli inviato ripetutamente e-mail e messaggi sul telefonino ed averlo contattato in maniera insistente.

Una simile condotta, per i giudici di merito, è idonea ad integrare il reato di molestie o di disturbo alle persone, ex art. 660 c.p.,

(“Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a 516 euro”)

e, in mancanza di qualsivoglia posizione differente della Corte di Cassazione, nulla può salvare il figlio dalla condanna.

Per sottrarsi alla condanna definitiva, l’uomo si era rivolto innanzi ai giudici di legittimità, sostenendo la mancata applicazione della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto.

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Secondo il figlio, infatti, nel caso in esame, ricorrevano le circostanze richieste dall’articolo 131-bis c.p., poste le modalità dell’azione, la minima intensità dell’elemento psicologico e l’assenza di danno.

L’articolo 131 bis c.p. dispone che:

“Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a 5 anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’art. 133, primo comma, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale.

L’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, ai sensi del primo comma, quando l’autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all’età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona.

Il comportamento è abituale nel caso in cui l’autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.

Ai fini della determinazione della pena detentiva prevista nel primo comma non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. In quest’ultimo caso ai fini dell’applicazione del primo comma non si tiene conto del giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui all’art. 69. La disposizione del primo comma si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante”.

Secondo la Corte di Cassazione non può non considerarsi che l’istituto rivendicato in terzo grado non ha mai formato oggetto di richiesta al giudice di merito, nonostante sia entrato in vigore prima della pronuncia della sentenza impugnata.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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