CESTA DI PESCE AL GIUDICE E CORRUZIONE IN ATTI GIUDIZIARI

La Cassazione conferma la condanna emessa dalla Corte di Appello di Lecce dell’avvocato che aveva corrisposto utilità non dovute al Giudice di Pace perchè compisse atti contrari ai doveri di ufficio

Con la sentenza del 7 giugno 2017, la Corte di appello di Lecce ha confermato la sentenza di condanna emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale Penale di Lecce in data 8 gennaio 2014 che ha condannato un avvocato per il delitto di corruzione in atti giudiziari ex artt. 110, 81, 319-ter c.p..

Secondo il capo d’imputazione, l’avvocato aveva corrisposto, tra la fine del 2007 e i primi mesi del 2008, in qualità di difensore di plurimi soggetti sorvegliati speciali di P.S., utilità non dovute ad un Giudice di Pace affinché costui compisse atti contrari ai doveri di ufficio in violazione dei doveri di imparzialità ed indipendenza propri dell’esercizio della funzione giurisdizionale.

Secondo l’ipotesi d’accusa, il Giudice di Pace si era posto a disposizione dell’avvocato, asservendo e piegando il proprio ruolo al soddisfacimento delle aspettative del difensore, riservando alle cause di quest’ultimo una corsia preferenziale nei procedimenti iscritti presso gli uffici del Giudice di Pace. In particolare, il GdP aveva alterato il meccanismo di assegnazione del contenzioso, trattenendo sei ricorsi presso di lui e smistandone altri sei ad altro GdP compiacente, in violazione della precostituzione del giudice naturale per legge.

Il GdP emanava provvedimenti di sospensione della revoca della patente di guida e dilatava in maniera ingiustificata il corso della procedura, mediante pretestuosi rinvii della trattazione, in modo da vanificare la misura disposta dal prefetto e far coincidere la durata del processo di merito con quella della revoca della patente di guida. Il GdP avrebbe, per tali favori, ricevuto dal legale utilità non dovute, tra le quali, in occasione delle festività natalizie del 2007, una confezione contenente 7-8 aragoste, salmone, caviale e champagne.

Il ricorso per Cassazione

L’avvocato propone ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Lecce, chiedendone l’annullamento deducendo tre motivi di ricorso:

– il vizio di motivazione e la violazione di legge in relazione agli artt. 546, comma 1, lett. e), 192, comma 1 e 2, cod. proc. pen. e 319-ter cod. pen.;

– la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della corruzione in atti giudiziari nella forma susseguente;

– il vizio di motivazione e la violazione di legge in relazione agli artt. 546 comma 1, lett. e), cod. proc. pen. e 319, 319-ter e 323 cod. pen., in quanto la motivazione era graficamente inesistente nella parte in cui erano state negate le attenuanti generiche.

La decisione della Corte

Secondo gli Ermellini, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile in quanto proposto per motivi diversi da quelli consentiti dall’art. 606 cod. proc. pen. e, comunque, manifestamente infondati.

Successivamente, la Corte passa all’esame degli specifici motivi di ricorso.

Secondo il primo motivo, la Corte di appello non avrebbe offerto una risposta alla censura della difesa che aveva sollecitato la riqualificazione dei delitti contestati in abuso di ufficio ovvero di corruzione semplice ed avrebbe fondato il proprio convincimento sul travisamento delle prove (il secondo GdP non era stato imputato; la tempestività nella adozione dei provvedimenti di sospensiva della sanzione accessoria non era indice di accordo collusivo, bensì di efficienza e tempestività della risposta giurisdizionale in sede cautelare; la dilatazione dei tempi di trattazione del merito dei ricorsi, tramite rinvii, giudicati pretestuosi, non era frutto di sviamento dalla funzione giurisdizionale, bensì di un orientamento giurisprudenziale che riteneva che i provvedimenti prefettizi di revoca della patente di guida nei confronti dei sorvegliati speciali costituissero un impedimento al processo di reinserimento dei medesimi nel tessuto sociale e lavorativo; le intercettazioni telefoniche non avevano disvelato alcun patto corruttivo prima del Natale ed erano solo emersi contatti connotati da una particolare familiarità; l’inidoneità del cesto natalizio ad integrare una retribuzione di natura corruttiva, stante il proprio modico valore).

Inoltre, la sentenza impugnata non avrebbe dimostrato il collegamento causale tra il dono ed i precedenti atti, né il dolo che deve sorreggere anche la forma di corruzione susseguente.

Il cesto sarebbe stato inviato in occasione del Natale e non in coincidenza delle decisioni da adottare. Si sarebbe trattato, dunque, di un dono isolato, nell’ambito di una relazione di amicizia e di frequentazione tra i due.

Secondo la Corte di Cassazione, la censura è inammissibile in quanto intende pervenire ad una diversa e più favorevole lettura dei fatti posti a fondamento delle sentenze di merito.

Rilevano i Giudici che

nel giudizio di cassazione sono, tuttavia, precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482)”.

Inoltre

la Corte di appello di Lecce, in consapevole consonanza con i principi sanciti dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nel caso Mills (Sez. U, n. 15208 del 25/02/2010, Mills,) ha, inoltre, rilevato che ciò che assumeva rilievo qualificante nella specie era la contaminazione del libero ed indipendente esercizio della funzione giurisdizionale e la previa assicurazione di una gestione assolutamente parziale dei ricorsi propositi dall’imputato”.

Non era, pertanto, il contenuto dell’atto giudiziario in sé a qualificare come propria o impropria la corruzione, ma il metodo mediante il quale si era giunti alla decisione, che, pur formalmente corretta in ipotesi, era risultata compromessa a priori”.

Invero, precisano i Giudici,

nel delitto di corruzione in atti giudiziari, infatti, per stabilire se la decisione giurisdizionale sia conforme o contraria ai doveri di ufficio deve aversi riguardo non al suo contenuto ma al metodo con cui a essa si perviene, nel senso che il giudice, che riceve da una parte in causa denaro o altra utilità o ne accetta la promessa, rimane inevitabilmente condizionato nei suoi orientamenti valutativi, e la soluzione del caso portato al suo esame, pur accettabile sul piano della formale correttezza giuridica, soffre comunque dell’inquinamento metodologico a monte (Sez. 6, n. 33453 del 04/05/2006, Battistella, Rv. 234362)”.

Secondo la Corte, inammissibili si rivelano anche le censure proposte dal ricorrente in ordine alla inidoneità del cesto natalizio indicato nella imputazione ad integrare una retribuzione di natura corruttiva, stante il proprio modico valore e la conseguente riconducibilità alla categoria delle regalie d’uso di modico valore che i pubblici ufficiali sono facultati a ricevere (c.d. munuscula) secondo le prescrizioni dell’art. 4 del d.P.R. 16 aprile 2013 n. 62 del 2013.

Tali doglianze, infatti, si risolvono in una rilettura del fatto e si rivelano radicalmente in contrasto con quanto congruamente accertato dai giudici di merito relativamente al significativo valore di tale bene alla stregua della indicazione rivolta dall’avvocato (NdR) al titolare della pescheria di comporre il cesto senza limiti di spesa (‹tu non ti creare problemi di niente›) ed al commento del GdP (NdR) che, sorpreso dalla entità del dono, aveva amichevolmente rimbrottato l’imputato per aver ‹esagerato›, tanto da averlo messo ‹in imbarazzo›”.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della corruzione in atti giudiziari.

Tale motivo di ricorso si rivela manifestamente infondato in quanto, secondo un incontrastato orientamento della giurisprudenza di legittimità

il delitto di corruzione in atti giudiziari si configura pur quando il denaro o l’utilità siano ricevuti, o di essi sia accettata la promessa, per un atto già compiuto, cosiddetta corruzione susseguente (ex plurimis: Sez. U, n. 15208 del 25/02/2010, Mills, Rv 246581) ed è indifferente, ai fini della sua configurabilità, che l’atto compiuto sia conforme, o non, ai doveri di ufficio (Sez. 6, n. 36323 del 25/05/2009, Drassich, Rv. 244973; Sez. 6, n. 25418 del 20/06/2007, Giombini, Rv. 236859)”.

Con il terzo motivo il ricorrente, da ultimo, censura il vizio di motivazione e la violazione di legge in quanto la motivazione sarebbe stata graficamente inesistente nella parte in cui venivano negate le attenuanti generiche ed una diversa dosimetria sanzionatoria coniugabile con la sospensione condizionale della pena.

Anche tale motivo, secondo la Sesta Sezione, si rivela inammissibile in quanto il ricorrente argomenta la opportunità di una diversa valutazione in punto di concessione delle circostanze attenuanti generiche, ma non dimostra la carenza o la manifesta illogicità del convincimento espresso dalla corte territoriale.

Rileva la Corte come

in tema di attenuanti generiche, infatti, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269)”.

La graduazione della pena, infatti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita secondo i principi di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen.. Invero,

è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (ex plurimis: Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, Ferrario, Rv 259142)”.

Nessuna violazione di legge è, pertanto, ravvisabile sul punto

in quanto ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, il giudice non è, inoltre, tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato, essendo sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti (ex plurimis: Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826; Sez. 4, n. 23679 del 23/04/2013, Viale, Rv. 256201)”.

Infine, con memoria successiva al ricorso, l’avvocato ha eccepito la nullità, ai sensi dell’art. 178, lett. c), cod. proc. pen., della notifica dell’avviso di deposito della sentenza impugnata all’imputato, in quanto eseguita non già presso la propria residenza, domicilio dichiarato, bensì presso il proprio studio professionale, chiedendo la regressione del procedimento nella fase in cui si era verificata la nullità al fine di consentire il corretto perfezionamento della notifica dell’avviso di deposito.

Tali censure, secondo la Corte, sono

strutturalmente irrelate e, segnatamente, prive di connessione con i motivi originariamente proposti nel ricorso”.

La Cassazione ha pertanto dichiarato il ricorso inammissibile ed ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento della somma, determinata in via equitativa, di duemila euro in favore della cassa delle ammende.

Avv. Silvia Zazzarini


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