I BENI ARCHEOLOGICI: A CHI SPETTA LA PROPRIETA’

Scoperta beni archeologici

La Corte di Cassazione Civile, sez. II, con la sentenza n. 10303 del 26 aprile 2017 ha stabilito che in caso di scoperta di un bene archeologico, è presunta la proprietà pubblica

La Corte di Cassazione Civile, sez. II, con la sentenza del 16/04/2017 n. 10303 ha affermato che i beni archeologici presenti all’interno del territorio italiano si presumono:

“Salva prova contraria gravante sul privato che ne rivendichi la proprietà, provenienti dal sottosuolo o dai fondali marini italiani ed appartengono, pertanto, al patrimonio indisponibile dello Stato”.

L’apprensione dello Stati dei beni archeologici, introdotta con la legislazione di tutela di inizio secolo, rafforzata in seguito dalla l. 1 giugno 1939, n. 1089, trova una costante conferma nella più recente normazione, approdando al D.Lgs. n. 42 del 22 gennaio 2004, secondo il quale le cose mobili ed immobili di interesse storio ed artistico, da chiunque trovate all’interno dei confini nazionali, entrano a far parte del demanio e del patrimonio indisponibile, ex artt. 822 e 826 c.c.

La vicenda:

Oggetto del contenzioso è una collezione di reperti archeologici che il ricorrente dichiarava essergli pervenuta per via successoria e che era di proprietà della sua famiglia da oltre cinquant’anni.

A seguito dell’archiviazione del procedimento penale per il reato di impossessamento di beni culturali, la parte evocava dinnanzi al tribunale di Venezia il Ministero per i Beni e le attività culturali per l’accertamento della proprietà privata dei pezzi e riottenere il possesso dalla Soprintendenza per il Veneto cui erano stati devoluti dal giudice penale.

Le richieste del soggetto venivano respinte e successivamente veniva confermata la sentenza della Corte d’Appello.

La decisione della Corte:

La parte aveva contestato la proprietà dello stato dei beni per i quali il Ministero non aveva fornito alcuna prova di un rinvenimento entro i confini nazionali. La provenienza italiana non poteva essere desunta in maniera precisa dalla relazione della Soprintendenza acquisita in sede penale, dato che era troppo generica non avendo la stessa efficacia probatoria di una consulenza tecnica d’ufficio.

La Corte di Cassazione confermava un proprio precedente orientamento secondo il quale, considerata la natura dei beni e la tutela costituzionale, il privato cittadino deve dimostrare le circostanze del ritrovamento degli oggetti archeologici in aree non appartenenti allo Stato italiano, nonché la presenza dei medesimi in Italia, ex art. 91 del Codice Urbani.

In base all’articolo 2697 del codice civile, la parte doveva fondare le sue ragioni su esiti probatori ben precisi ma non ottenuti nel giudizio: la provenienza non italiana della collezione oggetto della contesa o il ritrovamento in data anteriore all’entrata in vigore della legge n. 364/1909.

Non accertare il requisito di culturalità, ha precisato la Corte, non dimostra:

“Il carattere privato dei beni e l’impossibilità di ascriverlo al patrimonio indispensabile dello Stato, essendo il requisito culturale insito negli stessi beni, per il loro appartenere alla categoria delle cose di interesse archeologico”.

Conseguentemente i beni sottoposti a tale vincolo non possono essere sottratti alla loro destinazione e pertanto non possono costituire oggetto di possesso valido ai fini dell’usucapione.

Pertanto l’attribuzione della proprietà al privato è un’eccezione rispetto a quanto stabilito dagli articoli 822 e 826 del codice civile.

Dott.ssa Benedetta Cacace