ALLACCIO ABUSIVO ALLA RETE IDRICA COMUNALE E FURTO AGGRAVATO

Il caso del titolare del bar che attraverso il collegamento con tubo in gomma della fontana pubblica con vasca di litri 5.000, a sua volta collegata all’impianto idrico privato dellocale medesimo, si impossessa dell’acqua di proprietà del Comune  al fine di profitto consistente nel mancato esborso del controvalore dell’acqua consumata

Corte di Cassazione, quinta sezione penale, sentenza n. 34455 del 2018

La questione che qui ci interessa è se prelevare acqua pubblica da una fontana pubblica, quindi da un punto di sbocco della rete idrica comunale, integri il delitto di furto aggravato o l’illecito amministrativo ex art. 17 R.D. n. 1775 del 1993, come sostituito dall’art. 96, quarto comma del D.Lgs. n. 152/2006.

Nel caso di specie, il titolare di un bar si era allacciato abusivamente alla rete idrica comunale, collegandosi con un tubo alla fontana comunale al suo bar, per non pagare l’acqua consumata.

Per risolvere la questione prima dobbiamo fare alcune considerazioni sulle norme che si sono susseguite nel tempo in materia di acque.

-L’art. 1 del R.D. 11 dicembre 1933 n. 1775 conferiva la demanialità alle acque classificate come di pubblico generale interesse, invece quelle prive di una rilevanza pubblica rimanevano assoggettate alle disposizioni del codice civile.

-In seguito, con la legge 5 gennaio 1994, n. 36, si è passati ad un regime rigidamente pubblico in ordine alla proprietà della risorsa idrica; tutte le acque superficiali e sotterranee sono pubbliche.

-L’art. 23, quarto comma del D.Lgs. n. 152/1999 che previsto il divieto di derivare o utilizzare acqua pubblica senza una autorizzazione proveniente dall’autorità competente, comminando al trasgressore una sanzione amministrativa pecuniaria.

-Da ultimo la normativa è stata modificata dall’art. 96, comma 4, D.Lgs n. 152/2006 che ha inasprito la sanzione prevista dall’art. 23 del D.Lgs. n. 152/1999.

Veniamo ora al problema riguardante se la condotta dell’impossessamento di acque pubbliche sia riconducibile ad una fattispecie penale o ad un illecito amministrativo.

La materia del concorso tra norme penali è disciplinata dall’art. 15 c.p., il quale prevede che nei casi in cui la medesima materia sia disciplinata da più leggi penali o da più disposizioni della medesima legge, la legge o la disposizione di legge speciale deroga a quella generale, salvo che sia stabilito diversamente.

Il concorso tra norme penali e violazioni amministrative è disciplinato dall’art. 9 della l. n. 689 del 1981, in base al quale se uno stesso fatto è punito sia da una disposizione penale che da una amministrativa, si applica la disposizione speciale.

Vedi anche

Con riferimento al caso in esame, si deve rilevare che in ordine al rapporto tra il delitto di cui all’art. 624 c.p. e l’illecito amministrativo disciplinato dall’art. 17 R.D. n. 1175/1993, modificato da ultimo dall’art. 96, comma 4, d.lgs. n. 152/2006, vi sono orientamenti contrastanti in giurisprudenza.

Tuttavia, a partire dal 2013 si è affermato che:

“L’impossessamento abusivo dell’acqua convogliata nelle condutture dell’acquedotto municipale integra il reato di furto aggravato e non la violazione amministrativa prevista dall’art. 23 D.Lgs n. 152 del 1999, che si riferisce alle sole acque pubbliche, ossia ai flussi non ancora convogliati in invasi o cisterne”.

L’articolo 17 del Testo Unico prevede che ad eccezione delle acque piovane e del prelievo per uso domestico, è vietato derivare o utilizzare acqua pubblica senza un provvedimento autorizzativo o concessorio dell’autorità competente.

Pertanto, tale disposizione e quella dell’art. 624 c.p. realizzano un’ipotesi di concorso apparente di norme, e ne deriva che l’impossessamento abusivo delle acque sotterranee e superficiali, integra esclusivamente l’illecito amministrativo e non il delitto di furto.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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