LICENZIAMENTO DISCIPLINARE E POTERE DI CONTROLLO SULLE EMAIL DEI DIPENDENTI

LICENZIAMENTO DISCIPLINARE E CONTROLLO INFORMATICO DATORIALE

La Corte di Cassazione con Sentenza della Sezione Lavoro n. 26682 del 10.11.2017 si pronuncia in merito alla legittimità ed ai limiti di controllo sulle e-mail inviate dai prestatori di lavoro da parte del datore di lavoro.

Gli Ermellini respingono le censure del dipendente circa l’illegittimità dei controlli datoriali, ritenendo che le garanzie procedurali di cui all’art. 4 della Legge 300/1970 trovino applicazione ai controlli c.d. “difensivi: ossia ai controlli diretti ad accertare i comportamenti illeciti dei lavoratori, quando però detti accertamenti riguardino l’esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro, e non, invece, quando riguardino la tutela di beni estranei al rapporto stesso.

Ne consegue dunque che esula dal campo di applicazione della norma suindicata, che riguarda l’installazione di impianti ed apparecchiature di controllo richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza sul lavoro, il caso del datore di lavoro che abbia effettuato verifiche volte ad accertare comportamenti illeciti e lesivi del patromonio e dell’immagine aziendale da parte del prestatore.

Nel caso esaminato dalla Suprema Corte, il dipendente era stato sottoposto alla sanzione del licenziamento disciplinare per aver inviato e-mail ove erano reiterate espressioni offensive nei confronti del legale rappresentante dell’azienda e di altri collaboratori, qualificandoli di inettitudine e scorrettezza con l’uso di espressioni inurbane.

V. anche

Con uno dei motivi di impugnazione la difesa del dipendente sollevava la violazione del principio dell’immediatezza della contestazione.

La Corte ritiene non accoglibile tale doglianza rammentando come

la valutazione della tempestività della contestazione costituisce giudizio di merito, non sindacabile in cassazione ove adeguatamente motivato” (Cass. n. 1247 del 2015; Cass. n. 5546 del 2010; Cass. n. 29480 del 2008; Cass. n. 14113 del 2006), sicché il vizio attinente a tale apprezzamento di merito, riguardando la ricostruzione dei fatti e la loro valutazione, essendo tipicamente sussumibile nel paradigma dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., novellato, nonostante la veste solo formale di violazione di legge attribuita dalla parte al motivo in esame, incontra i medesimi limiti innanzi evidenziati richiamando le pronunce di questa S.C. nn. 8053 e 8054 del 2014″.

Viene dunque dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 7 della Legge 300/1970 ed 11, n. 2 del D.Lgs. 193/2003 lamentando la mancata affissione del codice disciplinare ed in particolare della mancata adozione aziendale di regolamento disciplinare per l’utilizzo di sistemi informatici e di posta elettronica, tanto che il lavoratore non aveva avuto regoamentoaazione dell’utilizzo degli indirizzi di posta elettronica assegnati.

Sul punto la Corte chiarisce che

“La doglianza, oltre ad essere inammissibile per come è formulata in quanto non specifica quale sarebbe il fatto decisivo di cui sarebbe stato omesso l’esame, è infondata, per il primo aspetto, in considerazione del costante insegnamento secondo cui in tema di sanzioni disciplinari, la garanzia di pubblicità del codice disciplinare mediante affissione in luogo accessibile a tutti non si applica laddove il licenziamento faccia riferimento a situazioni concretanti violazione dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro (per tutte v. Cass. n. 20270 del 2009), come accaduto nella specie. Quanto poi alla mancata predisposizione di un regolamento aziendale per l’utilizzo della posta elettronica, il rilievo sul punto appare inconferente visto che nella valutazione della Corte territoriale il venir meno del vincolo fiduciario con il dipendente è stato determinato dall’uso reiterato “di espressioni scurrili nei confronti del legale rappresentante della società e di altri collaboratori, qualificandoli di inettitudine e scorrettezza con l’uso di espressioni inurbane” piuttosto che nell’uso della posta elettronica da postazione aziendale; in altre parole il C. non è stato licenziato per aver utilizzato al di fuori delle esigenze lavorative la casella di posta avuta in dotazione dalla società, bensì per il contenuto offensivo delle “e-mail” riguardanti vertici e collaboratori dell’azienda”.

Il punto nodale e maggiormene interessante della sentenza in esame, però, consiste nella parte della motivazione in cui gli Ermellini analizzano le eccezioni formali sollevate dal lavoratore circa le modalità di acquisizione del testo dei messaggi di posta elettronica.

Veniva nei giudizi di merito accertato che la lettura dei files era imposta da una anomalia segnalata dall’amministratore di sistema. Il controllo datoriale non era dunque sorto nè per il controllo dell’esatto adempimento dell’obbligazione lavorativa, nè per controllo difensivo,

“bensì dell’acquisizione di un dato registrato dalle apparecchiature aziendali, della cui conservazione e duplicazione il lavoratore era al corrente, e la cui lettura era giustificata dall’emergenza di un comportamento inteso ad eludere tale nota prassi e tale da far ragionevolmente insorgere il sospetto dell’effettuazione di condotte lesive di beni sostanzialmente estranei all’adempimento delle obbligazioni lavorative, ma intesi alla difesa di altri beni (in primo luogo l’immagine dell’impresa e la doverosa tutela della dignità di altri lavoratori)”.

La Corte, altresì, precisa che esulano dai c.d. controlli a distanza disciplinati dall’art. 4 della Legge 300/1970, e possono pertanto essere effettuati dal datore di lavoro, i controlli mirati al fine di verificare il corretto utilizzo degli strumenti di lavoro (artt. 2086, 2087, 2104 c.c.), tra cui i p.c. aziendali, nel rispetto della libertà e della dignità dei lavoratori, nochè i principi di correttezza, di pertinenza e non eccedenza dic ui all’art. 11, comma 1 del Codice.

Ritenuto dunque che il caso in esame non concerneva verifiche preventive a distanza sull’attività dei dipendenti e che l’acquisizione dei dati era stata effettuata con modalità non eccedenti rispetto alle finalità di controllo, dunque nel rispetto dei criteri di pertinenza, proporzionalità e correttezza, la Cassazione ha ritenuto del tutto legittima la sanzione disciplinare irrogata ed il conseguente licenziamento.

Avv. TaniaFortunata Cosentino


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