… E SE IL PEDAGGIO NON VIENE PAGATO?

Pedaggio non pagato: responsabile il proprietario della vettura o il conducente?

Corte di Cassazione, seconda sezione penale, sentenza n. 15601 del 2019

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano condannato l’imputata per il delitto di truffa ex art. 640 del codice penale, per aver eluso il controllo e non pagato il pedaggio autostradale in diverse occasioni, usufruendo la corsia riservata ai possessori di telepass, accodandosi ad altra macchina e riuscendo così a passare prima che la sbarra si abbassasse.

L’articolo 640 c.p. punisce:

“Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da cinquantuno euro a 1.032 euro.

La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da 309 euro a 1.549 euro:

1) se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare;

2) se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l’erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell’Autorità;

2-bis) se il fatto è commesso in presenza della circostanza di cuiall’articolo 61, numero 5).

Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal capoverso precedente o la circostanza aggravante prevista dall’articolo 61, primo comma, numero 7”.

Nel ricorrere in Cassazione l’imputata lamenta che la sentenza impugnata avrebbe basato il proprio giudizio di colpevolezza sulla mera costatazione che lei era la proprietaria del veicolo fotografato ai caselli autostradali, non provando in alcun modo l’identità del soggetto alla guida del veicolo.

Gli Ermellini, intervenuti sulla questione hanno dichiarato il ricorso infondato.

I giudici di primo grado avevano rilevato che la registrazione presso il PRA dell’automobile costituisce una presunzione di appartenenza dell’auto all’imputata, che aveva l’onere di dimostrare che non era lei alla guida del veicolo al momento della commissione delle infrazioni contestate.

La colpevolezza dell’imputata si fonda sull’accertata proprietà del veicolo utilizzato per commettere la truffa continuata e sull’assenza da parte della stessa di qualsivoglia spiegazione alternativa in merito alla disponibilità della vettura in questione.

Secondo una massima di esperienza la titolarità della vettura induce a ritenere che il proprietario ne abbia anche la disponibilità.

La Cassazione precisa che le massime di esperienza sono

“generalizzazioni empiriche indipendenti dal caso concreto, fondate su ripetute esperienze ma autonome e sono tratte, con procedimento induttivo, dall’esperienza comune, conformemente ad orientamenti diffusi nella cultura e nel contesto spazio-temporale in cui matura la decisione, in quanto non si risolvono in semplici illazioni o in criteri meramente intuitivi o addirittura contrastanti con conoscenze o parametri riconosciuti e non controversi”.

Nel caso di specie l’imputata non aveva mai risposto alle diverse contestazioni che le erano state sollevate in merito alle violazioni in oggetto.

Inoltre deve rammentarsi che secondo consolidata giurisprudenza:

“è prospettabile un onere di allegazione, in virtù del quale l’imputato è tenuto a fornire all’ufficio le indicazioni e gli elementi necessari all’accertamento di fatti e circostanze ignoti che siano idonei, ove riscontrati, a volgere il giudizio in suo favore. Tra questi fatti oltre a quelli che escludono la punibilità di una condotta che realizza, in tutti i suoi elementi positivi, una fattispecie criminosa devono farsi rientrare anche quelli che, pur attenendo alla intrinseca struttura oggettiva e soggettiva del reato, rivestano carattere di eccezionalità ed atipicità rispetto al normale svolgersi delle vicende umane”.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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