SUL MALTRATTAMENTO AGLI ANIMALI

Maltrattamento con crudeltà e senza necessità di 112 cuccioli di cane

Corte di Cassazione penale, sez. III, sent. n. 1448 del 15 gennaio 2018

Gli Ermellini, con la sentenza in commento, ritengono che configura l’elemento oggettivo e soggettivo del reato, ex art. 544-ter c.p., il maltrattamento con crudeltà e senza necessità di cuccioli di cane, cagionandogli lesioni e allontanandoli prematuramente dalla loro madre, ostacolando così la corretta crescita e l’adeguato sviluppo.

L’articolo 544-ter dispone che:

“Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesiona ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre mesi a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro.

La stessa pena di applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietati ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stesso. La pena è aumentata della metà se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte dell’animale”.

Nel caso in oggetto i cuccioli, a scopo commerciale, erano detenuto tutti ammassati all’interno di cassette di plastica troppo piccole per il numero di cuccioli posti.

V. anche

Le scatole erano piene di segatura a fare il fondo, piene di escrementi e le ciotole contenenti cibo e acqua erano sporche e maleodoranti.

Il locale contenente dette casse di plastica era inadatto allo scopo, non vi era acqua per la pulizia ed il pavimento in calcestruzzo non era lavabile; il sistema di riscaldamento non permetteva di mantenere una temperatura idonea a riscaldare tutti i cuccioli, inoltre si sviluppava tramite un sistema di areazione controindicato rispetto al rischio di diffusione di virus.

I cuccioli malati erano detenuti all’interno di cassette di plastica sotto a lampade ad infrarossi inidonee e dal soffitto della stanza gocciolava acqua.

Un cucciolo morto era tenuto, avvolto da una coperta, all’interno di un freezer.

Secondo la Corte di Cassazione

“il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte Costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, alla declaratoria dell’inammissibilità a norma dell’art. 616 c.p., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 2.000,00”.

Dott.ssa Benedetta Cacace


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