Non commette reato il tossicodipendente in cura presso il Ser.D. che si rifornisca di droga per uso personale

“[…] La Corte di Cassazione […] ha rovesciato il verdetto dei gradi di merito ritenendo certamente rilevante la quantità di sostanza stupefacente in possesso dell’imputato, ma focalizzando l’attenzione anche sullo status del soggetto […]”

La Sesta Sezione della Corte di Cassazione interviene nuovamente sul tema dello spaccio di sostanza stupefacente. Gli addetti al settore conoscono bene la cospicua produzione di sentenze della Suprema Corte sul punto. Ciò che emerge da un’analisi comparata dei vari provvedimenti assunti, è un’apparente distonia tra le statuizioni, dovuta alla particolare porosità dei confini dettati dalle norme che regolano la materia.

La vicenda viene portata all’attenzione dei Giudici di Piazza Cavour a mezzo di ricorso avverso una sentenza di condanna emessa dai Giudici di merito. Nello specifico si era contestato il reato di traffico illecito di stupefacenti ad un giovane, già in cura presso la struttura locale del Ser.D.

L’imputato era stato trovato, di ritorno da una piazza di spaccio in Napoli, con 21 confezioni contenenti marijuana e, per l’appunto, era stato giudicato colpevole di spaccio dai Giudici partenopei.

La Corte di Cassazione, invece, con la sentenza n. 29798 del 14 giugno 2017, hanno rovesciato il verdetto dei gradi di merito operando due considerazioni. Da un lato, era certamente rilevante la quantità di sostanza stupefacente in possesso dell’imputato che aveva, per l’appunto, specifici precedenti legati agli stupefacenti. Dall’altro, ha focalizzato l’attenzione sul profilo specifico della tipologia di persona che stava giudicando. Rispetto alla sentenza in analisi, la critica che si potrebbe muovere al Collegio risiede nell’essersi addentrata troppo in una sorta di valutazione di merito e non di sola legittimità.

Ovvero, come già accennato, il soggetto era in cura presso una struttura sanitaria con il conseguente inquadramento, anche clinico, di tossicodipendente.

I Giudici di legittimità, pertanto, hanno inteso valorizzare quanto aveva cercato di far emergere l’imputato nel corso del procedimento di merito. La sua tesi difensiva, infatti, verteva nel sostenere che le dosi non erano destinate al mercato delle sostanze illecite. Rappresentavano, invece, una “scorta” che un soggetto con problemi di tossicodipendenza aveva acquistato per non recarsi quasi quotidianamente presso le locali piazze di spaccio. Forse, come già accennato, proprio questa operazione ermeneutica potrebbe sollevare critiche su un possibile sconfinamento rispetto ai poteri decisori della Corte.

Vedi anche: