LA CASSAZIONE SI PRONUNCIA: LIQUIDAZIONE COMPENSI AVVOCATI MAI SOTTO I MINIMI

Il giudice è tenuto ad effettuare la liquidazione dei compensi a titolo di spese legali secondo i criteri stabiliti nel Decreto Ministeriale n. 55 del 2014 e non può utilizzare i criteri del D.M. n. 140 del 2012

La Sezione Seconda della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 1357/2018, pubblicata il 19 gennaio 2018, ha stabilito il principio secondo cui il giudice è tenuto ad effettuare la liquidazione dei compensi a titolo di spese legali secondo i criteri stabiliti nel Decreto Ministeriale n. 55 del 2014 e non può utilizzare i criteri del D.M. n. 140 del 2012.

Il caso

La Corte d’appello di Perugia, con decreto depositato il 3/5/2016, ha condannato il Ministero della Giustizia al pagamento di € 2.165,00 a titolo di equo indennizzo per la non ragionevole durata di un processo incardinato ex Legge Pinto (I. n. 89/2001), nonché le spese processuali, liquidate in complessivi € 270,00, oltre spese vive per C 8,00 e accessori, distratte in favore dei difensori antistatari.

Avverso il decreto, è stato proposto ricorso, con cui si affermava che la Corte di merito aveva violato o falsamente applicato gli artt. 91 c.p.c. e 2233 c.c., nonché il d.m. n. 55/2014, per avere liquidato il rimborso spese al disotto del minimo legale.

V. anche

L’amministrazione ha resistito con controricorso, basandosi sulla tesi secondo cui il d.m. n. 55 del 10 marzo 2014 stabilisce un limite minimo ai compensi tabellari previsti (art. 4) e non può considerarsi derogativo del decreto n. 140, emesso dallo stesso Ministero il 20 luglio 2012, il quale, stabilendo in via generale i compensi di tutte le professioni vigilate dal Ministero della Giustizia, al suo art. 1, comma 7, dispone che “in nessun caso le soglie numeriche indicate, anche a mezzo di percentuale, sia nei minimi che nei massimi, per la liquidazione del compenso, nel presente decreto e nelle tabelle allegate, sono vincolanti per la liquidazione stessa»,

Tale tesi non è condivisa dalla Corte di Cassazione.

La decisione della Cassazione

Secondo la Seconda Sezione, il d.m. n. 140 risulta essere stato emanato allo scopo di favorire la liberalizzazione della concorrenza e del mercato, adempiendo alle indicazioni della UE, a tal fine rimuovendo i limiti massimi e minimi, così da lasciare le parti contraenti (l’avvocato e il suo assistito) libere di pattuire il compenso per l’incarico professionale.

Invece, il giudice resta tenuto ad effettuare la liquidazione giudiziale nel rispetto dei parametri previsti dal d.m. n. 55, il quale non prevale sul d. m. n. 140 per ragioni di mera successione temporale, bensì nel rispetto del principio di specialità.

Invero, in tal caso non è il d.m. n. 140 – evidentemente generalista e rivolto a regolare la materia dei compensi tra professionista e cliente (ed infatti, l’intervento del giudice ivi preso in considerazione riguarda il caso in cui fra le parti non fosse stato preventivamente stabilito il compenso o fosse successivamente insorto conflitto) – a prevalere, ma il d.m. n. 55, il quale detta i criteri ai quali il giudice si deve attenere nel regolare le spese di causa.

La Corte di Cassazione ha statuito, pertanto, che la liquidazione effettuata dalla Corte locale in complessivi € 270,00 si pone al di sotto dei limiti imposti dal d.m. n. 55.

Tenuto conto di valore della causa e pur applicata la riduzione massima, in ragione della speciale semplicità dell’affare e considerato che a motivo dell’esposto il provvedimento gravato deve essere cassato e, sussistendone le condizioni, decisa la causa nel merito, ha ricalcolato il compenso in € 1.198,50 (€ 255,00 per la fase di studio, € 255,00 per la fase introduttiva, € 283,50 per la fase istruttoria, € 405,00 per la fase decisionale), oltre IVA e contributo ex art. 11 I. n. 576/1980, con distrazione in favore dagli avv.ti che ne hanno fatto richiesta, dichiarandosi antistatari.

Avv. Silvia Zazzarini


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