ANCORA SULL’INDEROGABILITA’ DEI MINIMI TARIFFARI

La Suprema Corte, con la sentenza n. 8539 della Seconda Sezione, pubblicata il 6 aprile 2018, torna sul tema degli onorari dell’avvocato, riaffermando il principio di inderogabilità dei minimi tariffari.

In particolare, i Giudici confermano tale principio, stabilito dall’art. 24 della legge 13 giugno 1942, n. 794, sugli onorari di avvocato e procuratore per prestazioni giudiziali in materia civile, che costituisce causa di nullità delle convenzioni, stipulate tra una parte ed il proprio legale, che contemplino la rinuncia totale o parziale ai suddetti minimi, posta in essere strumentalmente per violare la norma imperativa, a meno che non risulti una causa gratuita, in tutto o in parte, per ragioni varie (amicizia e parentela, convenienza, motivi meritevoli di tutela) da accertare da parte del giudice di merito.

Nel caso di specie, la Cassazione ha rilevato che la Corte d’Appello di Napoli ha inteso l’emissione di fatture da parte dell’avvocato per importi sempre inferiori ai minimi tariffari come lecita rinuncia successiva ad essi senza, tuttavia, accertare le ragioni (meritevoli) poste alla base di tale rinuncia.

La vicenda

Nel 2013, un avvocato ha convenuto avanti il Tribunale di Napoli una s.p.a. deducendo di aver ricevuto incarico, tra il marzo 1998 e il dicembre 2002, di insinuarsi in 151 procedure fallimentari per il recupero di crediti esattoriali, ricevendo una liquidazione forfetaria di € 129,11 e poi di € 180,26 per ogni pratica, importi ben al di sotto dei minimi tariffari.

L’attore ha chiesto la condanna della società al pagamento dell’importo differenziale di € 81.342,08.

La s.p.a. ha eccepito la nullità della citazione e la prescrizione presuntiva dei crediti ex art. 2956, n. 3, c.c..

Il Tribunale di Napoli ha accolto la domanda per il solo importo di € 2.000,00, oltre accessori.

Entrambe le parti hanno proposto appello e la Corte di Napoli ha disatteso l’eccezione del difetto di legittimazione passiva della s.p.a., ravvisando tra questa e la banca una cessione di ramo d’azienda, con cessione conseguente del rapporto contrattuale corrente con l’avvocato, non ancora esauritosi.

V. anche

I giudici d’appello hanno respinto anche l’eccezione di prescrizione presuntiva, in quanto incompatibile con la difesa della convenuta che negava l’esistenza del credito; hanno invece ritenuto inammissibile la contestazione dell’esito negativo di circa un quinto delle insinuazioni spiegate dall’avvocato, in quanto questione nuova proposta per la prima volta in appello.

La Corte di Napoli ha seguito la medesima interpretazione scelta dal Tribunale, richiamando la sentenza n. 20269/2010 della Corte di Cassazione, affermando la validità della rinuncia dell’avvocato al compenso, anche in deroga dei minimi tariffari.

La corte territoriale ha precisato che tra il legale e la banca non risultava intervenuto alcun accordo preventivo in tal senso, sicché l’avvocato si era limitato ad emettere fatture a saldo per l’opera svolta, comportamento unilaterale di rinuncia incompatibile con l’intenzione di avvalersi del diritto ai minimi tariffari inderogabili.

Il ricorso del legale

Il legale ha proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza delle Corte d’Appello di Napoli, facendo valere i seguenti motivi di ricorso:

  • violazione dell’art. 24, legge 13 giugno 1942, n. 794, e l’omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su punto deciso della controversia;
  • l’omesso e contraddittorio esame su fatto decisivo, nonché ancora la violazione dell’art. 24, legge n. 794/1942.

Il ricorso è fondato.

La decisione della Corte

Rileva la Suprema Corte che, nel merito, la controversia attiene a 151 contratti di patrocinio con i quali l’avvocato venne incaricato di svolgere la sua opera professionale in favore della banca nel periodo compreso tra il marzo 1998 e il dicembre 2002.

Non rilevano pertanto, ratione temporis, né l’art. 2233, comma 3, c.c., nel testo sostituito dall’art. 2, comma 2 bis, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, conv., con modifiche, nella legge 4 agosto 2006, n. 248, secondo il quale “sono nulli, se non redatti in forma scritta, i patti conclusi tra gli avvocati ed i praticanti abilitati con i loro clienti che stabiliscono i compensi professionali”; né l’abrogazione delle tariffe delle professioni disposta dall’art. 9 del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1 (convertito dalla legge 24 marzo 2012, n. 27), atteso che, mancando specifiche previsioni di retroattività delle eventuali discipline sopravvenute, il giudizio di validità di un contratto va sempre riferito alle norme vigenti al momento della sua conclusione”.

La sentenza richiamata dalla corte territoriale (Cass. Sez. L, 27/09/2010, n. 20269) riprende il consolidato orientamento della Corte secondo il quale

il principio dell’inderogabilità dei minimi tariffari, stabilito dall’art. 24 della legge 13 giugno 1942, n. 794, sugli onorari di avvocato e procuratore per prestazioni giudiziali in materia civile, comportava la nullità delle convenzioni stipulate tra una parte ed il proprio legale, ove esse contemplassero una rinuncia totale o parziale ai suddetti minimi, posta in essere strumentalmente per violare la norma imperativa, a meno che non risultasse una causa gratuita – in tutto o in parte – per ragioni varie, oltre che di amicizia e parentela, anche di semplice convenienza, ovvero sussistessero motivi meritevoli di tutela tali da escludere ogni possibilità di conseguire maggiori vantaggi economici attraverso un accaparramento della clientela; siffatti leciti motivi di rinuncia ai minimi inderogabili costituivano doveroso oggetto di accertamento da parte del giudice del merito”.

Tale assunto si basava sul presupposto per cui il compenso professionale è un diritto patrimoniale comunque disponibile e che la convenienza giustificatrice della rinuncia ai minimi tariffari potesse concretarsi in una forma di esercizio dell’autonomia negoziale, non deponendo, tuttavia, ex se in tal senso il carattere semplice o ripetitivo delle relative prestazioni defensionali, che al più poteva rilevare al fine della concreta quantificazione dei compensi fra il minimo ed il massimo (Cass. Sez. 2, 21/07/1998, n. 7144; Cass. Sez. 2, 01/12/1995, n. 12421; Cass. Sez. U, 05/06/1989, n. 2697; Cass. Sez. L, 29/11/1988, n. 6449; Cass. Sez. U, 19/07/1986, n. 4673; Cass. Sez. 2, 07/03/1983, n. 1680).

I Giudici rilevano come la Corte d’Appello di Napoli non ha tenuto conto di tale interpretazione giurisprudenziale, avendo inteso l’emissione di fatture da parte dell’avvocato per importi sempre inferiori ai minimi tariffari come lecita rinuncia successiva ad essi, senza peraltro accertare né esplicitare quali meritevoli ragioni di convenienza e quali scopi non strumentali fossero a base di tale sistematica rinuncia.

V. anche

Il ricorso incidentale

Per completezza espositiva, va ricordato che la controparte ha proposto ricorso incidentale basato su cinque motivi, tutti dichiarati inammissibili o infondati:

  • violazione e falsa applicazione degli artt. 163 e 164 c.p.c., attesa la nullità della domanda per assoluta indeterminatezza dell’editio actionis, motivo dichiarato inammissibile dai Giudici.
  • violazione e falsa applicazione dell’art. 2560 c.c., con riguardo alla cessione di ramo d’azienda intervenuta con atto del 12 settembre 2002 tra la banca e la società. Anche questo motivo è del tutto infondato.

Invero, il rapporto professionale tra l’avvocato e la banca si è sviluppato nel periodo compreso tra il marzo 1998 e il dicembre 2002.

Ed allora, come correttamente deciso dalla Corte d’Appello, va riaffermato il principio per cui, in tema di cessione di azienda, il regime fissato dall’art. 2560, comma 2, c.c., con riferimento ai debiti relativi all’azienda ceduta, secondo cui dei debiti suddetti risponde anche l’acquirente dell’azienda allorché essi risultino dai libri contabili obbligatori, è destinato a trovare applicazione quando si tratti di debiti in sé soli considerati, e non anche quando, viceversa, essi si ricolleghino a posizioni contrattuali non ancora definite (quale era quella inerente il rapporto con l’avvocato (..) al momento della cessione), in cui il cessionario sia subentrato a norma del precedente art. 2558 c.c. Ed infatti, in tal caso, la responsabilità si inserisce nell’ambito della più generale sorte del contratto (purché, beninteso, non già del tutto esaurito), anche se in fase contenziosa al tempo della cessione dell’azienda (Cass. Sez. 1, 16/06/2004, n. 11318; Cass. Sez. 1, 29/04/1998, n. 4367)”.

  • violazione e falsa applicazione dell’art. 2956, n. 2, c.c., avendo erroneamente la Corte d’Appello disatteso l’eccezione di prescrizione presuntiva, motivo giudicato infondato.

La società, a fronte della richiesta di differenze in relazione ai minimi tariffari azionata dall’avvocato, si era difesa affermando l’inesistenza del credito, comportamento processuale, a parere della Corte di merito, del tutto incompatibile con l’eccezione di prescrizione presuntiva sollevata, riproposta in sede di gravame, la quale, presupponendo l’intervenuto pagamento, non consente contestazione alcuna in ordine all’esistenza del credito azionato neppure in relazione a parte degli importi richiesti. Così argomentando,

i giudici di appello si sono adeguati al consolidato orientamento di questa Corte (cfr. Cass. Sez. L, 23/07/2012, n. 12771; Cass. Sez. L, 03/03/2001, n. 3105; Cass. Sez. 3, 03/03/1994, n. 2124) secondo il quale, in tema di prescrizioni presuntive, l’ammissione di non aver estinto il debito da parte del debitore (che comporta il rigetto dell’eccezione di prescrizione presuntiva) può legittimamente risultare anche per implicito dalla contestazione, da parte del debitore stesso, dell’esistenza o dell’entità del credito, o della stessa legittimazione passiva”.

  • omessa motivazione su fatto decisivo per il giudizio, circa l’erroneità degli importi richiesti nelle parcelle, motivo dichiarato inammissibile.
  • omessa motivazione della statuizione circa la non debenza degli importi professionali richiesti in relazione a posizioni non ammesse allo stato passivo. Anche tale ultimo motivo di ricorso incidentale non merita accoglimento.

Avv. Silvia Zazzarini


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