Vietato pubblicare on line i nomi dei clienti di uno Studio Legale

Legittima la sanzione disciplinare all’avvocato che sul sito internet del proprio studio riporti l’elenco dei principali clienti assistiti.

Desta particolare interesse, soprattutto tra chi svolge la professione forense, il recente arresto della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, n. 9861/2017. La sentenza interviene a conclusione di un procedimento disciplinare riguardo la pubblicazione dei nomi di alcuni clienti sul sito dello studio legale che li assisteva.


Il caso in esame

Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati ha irrogato una sanzione dell’avvertimento ad alcuni professionisti iscritti allo stesso perché avevano pubblicato sul sito internet del loro studio un elenco di nominativi di clienti da loro stessi assistiti. I clienti, del resto, avevano firmato una liberatoria affinché venissero pubblicati i loro nominativi.

A seguito del ricorso presentato dagli avvocati, il Consiglio Nazionale Forense ha ritenuto illegittima la condotta tenuta dai propri iscritti. Ha così confermato la sanzione inflitta per aver pubblicato l’elenco dei loro principali clienti, in violazione degli articoli 6 e 17 del Codice Deontologico.

Infatti, in virtù della funzione sociale peculiare della professione forense, nel caso di specie vengono in rilievo i limiti dettati dai principi di dignità e decoro della professione.


Sui motivi di ricorso per Cassazione.

Gli avvocati non si sono arresi ed hanno presentato ricorso avanti alla Corte di Cassazione. Alla base del ricorso promosso avanti la Suprema Corte si possono individuare quattro motivi.

Primo motivo – basato sul combinato disposto dell’art. 17 codice deontologico e l’art. 2 del decreto legge n. 223 del 2006 (cosiddetto decreto Bersani). Quest’ultima norma avrebbe abrogato tutte le disposizioni prevedenti divieti di pubblicità informativa.

Secondo motivo – si è contestato che la pubblicazione dei nomi dei proprie clienti configurasse una attività contraria al decoro della professione.

Terzo motivo – come per il motivo precedente, la pubblicazione dei nomi non configurerebbe la violazione dei principi deontologici di legalità e correttezza.

Quarto motivo – i ricorrenti chiudono il proprio ricorso evidenziando una eccesso di potere manifestato dagli organismi disciplinari interni.


Sulla trattazione congiunta dei motivi sopra esposti.

La Corte ha deciso di trattare congiuntamente i quattro motivi sollevati dagli avvocati sanzionati. Andremo, pertanto, ad analizzare quali sono state le motivazioni che hanno condotto alla decisione che stiamo analizzando.

La prima critica mossa dal Collegio riguarda le fondamenta stesse della tesi dei ricorrenti. La norma, infatti, non tutela il diritto di rendere pubblici i nomi dei propri clienti, almeno secondo un’esegesi letterale della norma. Solo ampliando oltre i suoi limiti il concetto di pubblicità informativa, si potrebbe pervenire alla conclusione auspicata dalla parte impugnante.

Non si deve dimenticare, inoltre, che si deve verificare la compatibilità delle norme invocate dai ricorrenti rispetto alle caratteristiche della professione svolta.

L’ambito di applicazione del principio di ammissibilità della pubblicità informativa, deve essere considerato rispetto alle peculiarità dell’attività svolta. L’avvocato, infatti, non è un mero liberto professionista ma, a giudizio della Corte,

“[…] il necessario partecipe dell’esercizio diffuso della funzione giurisdizionale […]”.

Del resto, il Collegio ha ritenuto non dirimente il consenso rilasciato dai clienti il cui nome risultava pubblicato sul sito internet in questione. Il rapporto che si instaura tra cliente ed avvocato non è soltanto di carattere libero professionale. Non può trovare spazio, in buona sostanza, unicamente la logica di mercato a regolazione della materia.


Le conclusioni della Corte.

Come anticipato nel titolo del presente articolo, la Cassazione ha ritento censurabile disciplinarmente la pubblicazione dei nomi dei clienti di uno studio legale all’interno del proprio sito. Evidente il tentativo di veicolare la pubblicità dello stesso attraverso nominativi che possono avere un eco e destare interesse su eventuali potenziali nuovi clienti.

Secondo i Giudici, la particolare caratterizzazione della professione legale impone una particolare e maggiore cautela sul punto. Non si può ignorare che questo tipo di pubblicità può andare a riflettersi non solo sul nome del clienti assistito ma, anche, sull’attività svolta in suo favore. Una simile considerazione merita un’ulteriore approfondimento rispetto ai principi di pubblicità del processo.

Concludiamo, pertanto, riportando quanto affermato dagli Ermellini a chiosa della loro sentenza del 19 aprile 2017:

“[…] nè le considerazioni che precedono contrastano con le previsioni di pubblicità del processo e della sentenza. […] Tutt’affatto diverso è ovviamente il significato del termine pubblicità quando viene usato per identificare la propaganda diretta ad ottenere dalla collettività la preferenza nei confronti di un prodotto o di un servizio […]”.

Avv. Jacopo Marchini