SULLA VALIDITÀ O MENO DELLA PRONUNCIA EMANATA DAL GIUDICE IN PENSIONE


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La Corte di Cassazione, prima sezione civile, con l’ordinanza n. 5137 del 2020 è intervenuta per chiarire che la pronuncia emessa da un giudice uscito dall’ordine giudiziario è nulla ex art. 161, secondo comma c.p.c.

L’articolo 161 del codice di procedura civile nel disciplinare la nullità della sentenza, dispone che:

“La nullità delle sentenze soggette ad appello o a ricorso per cassazione può essere fatta valere soltanto nei limiti e secondo le regole proprie di questi mezzi d’impugnazione.

Questa disposizione non si applica quando la sentenza manca della sottoscrizione del giudice”.


Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva dichiarato la nullità della decisione di primo grado per difetto di sottoscrizione del giudice ex art. 161, secondo comma c.p.c.; nello specifico la sentenza era stata trattenuta in decisione dal giudice di primo grado all’udienza del 2006, ma era stata decisa con sentenza pubblicata nel 2009, quando il decidente era cessato dall’ufficio per collocamento a riposo a far data dalla fine del 2008, pertanto la sentenza, essendo stata pronunciata da un soggetto non più appartenente all’ordine giudiziale, doveva ritenersi emessa a “non iudice”.

Nel ricorrere in Cassazione si lamenta che la Corte d’Appello, nel pronunciarsi nei termini suddetti, non si sarebbe attenuta al principio dell’ultrattività delle funzioni giudiziarie e non avrebbe considerato che

“ai fini della valutazione se il decidente sia provvisto della necessaria potestas iudicandi occorre riferirsi al momento in cui la sentenza è stata deliberata”,

per tale motivo la sentenza di primo grado non poteva ritenersi nulla essendo stata la causa trattenuta in decisione prima del collocamento a riposto del giudice.

Gli Ermellini, intervenuti sulla questione hanno ritenuto infondato il ricorso, seppur, secondo costante orientamento giurisprudenziale:

“il momento della pronuncia della sentenza , momento nel quale il magistrato deve essere legittimamente preposto all’ufficio per potere adottare un provvedimento giuridicamente valido, va identificato con quello della deliberazione della decisione, mentre le successive fasi dell’iter formativo dell’atto, e cioè la stesura della motivazione, la sua sottoscrizione e la conseguente pubblicazione, non incidono sulla sostanza della pronuncia, sicché, ai fini dell’esistenza, validità ed efficacia di quest’ultima, è irrilevante che, dopo la decisione, il giudice singolo, o uno dei componenti di un organo collegiale, per circostanze sopravvenute, come il trasferimento, il collocamento fuori ruolo o a riposo, la mancata riconferma nell’incarico di giudice onorario o la cessazione del suo periodo di reggenza dell’ufficio, sia cessato dalle funzioni presso l’ufficio investito della controversia”.

Tuttavia, nel caso in oggetto la data della deliberazione è successiva a quella di collocamento a riposo del giudice e tale circostanza esclude che si possa dare applicazione al principio sopra enunciato.

Da quanto appena enunciato si evince che,

“essendo stata deliberata quando il decidente, per essere collocato a riposo, era già uscito dall’ordine giudiziario, l’impugnata sentenza risulta pronunciata, come ravvisato dal decidente di primo grado, a non iudice ed essa è nulla ex art. 161, secondo comma, c.p.c.”.

Avv. Tania Busetto

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