SULLA FINALITÀ ASSISTENZIALE DELL’ASSEGNO DIVORZILE


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Un’ulteriore pronuncia della Cassazione sulla finalità assistenziale dell’assegno divorzile

Corte di Cassazione, prima sezione civile, sentenza n. 21234 del 2019

La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, ha ulteriormente ribadito che l’assegno divorzile nel nostro ordinamento non ha più la funzione di parametro della conservazione del tenore di vita ma svolge una funzione assistenziale.

Nel caso in questione la Corte d’Appello aveva rigetto il gravame dell’ex marito, nei confronti dell’impugnata sentenza che aveva posto a suo carico il pagamento di un ingente assegno divorzile in favore dell’ex moglie, sulla base che questa, oramai donna di mezza età, aveva abbandonato l’attività di igienista dentale da quasi vent’anni per dedicarsi alla famiglia e pertanto le possibilità di trovare un nuovo impiego erano scarse, tenuto anche conto del suo precario stato di salute.

Nell’adire la Corte di Cassazione il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c e dell’art. 5, comma 6 della L. n. 898 del 1970 per aver il giudice di merito attribuito l’assegno divorzile senza che la donna avesse assolto l’onere di fornire prova dell’impossibilità di trovare una occupazione lavorativa o che il suo stato di salute glielo impedisse.

Gli Ermellini hanno dichiarato fondato il ricorso, rammentando come la L. n. 898 del 1970 all’articolo 5, comma 6, contiene un parametro, ossia la disponibilità di “mezzi adeguati” o “comunque l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive”, ed alcuni criteri da utilizzare per l’attribuzione e la determinazione dell’assegno divorzile in favore del coniuge richiedente.

Le condizioni ed i redditi dei coniugi, le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio, sono tutti elementi che devono essere valutati anche in relazione alla durata del vincolo.

Secondo la giurisprudenza tradizionale la nozione di adeguatezza dei mezzi doveva intendersi come finalizzata alla conservazione del tenore di vita matrimoniale, come desumibile dalle condizioni economiche del coniuge destinatario della domanda, all’esito del c.d. “confronto reddituale al momento della decisione”.

Tuttavia, in seguito a diverse critiche, recentemente la giurisprudenza ha mutato orientamento, sostituendo tale principio con quello inerente alla nozione di adeguatezza dei mezzi, intesa come “possibilità di vita dignitosa”, precisando che

“per determinare la soglia dell’inadempienza economica occorrerà avere riguardo alle indicazioni provenienti, nel momento storico determinato, dalla coscienza collettiva e, dunque, né bloccata alla soglia della pura sopravvivenza né eccedente il livello della normalità”.

Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 18287 del 2018 hanno confermato che: il parametro del tenore di vita non ha più cittadinanza nel nostro ordinamento, l’onere della prova circa l’esistenza delle condizioni legittimanti l’attribuzione e la quantificazione dell’assegno grava sul coniuge richiedente l’assegno e che l’assegno svolge una finalità di tipo assistenziale.

Nei casi in cui l’assegno non viene riconosciuto, sta a significare che non ricorrono in concreto le condizioni per valorizzare la funzione compensativa in quanto il coniuge richiedente, evidentemente, si trova in condizioni di “autosufficienza economica”, come chiarito dalla Cassazione con la sentenza n. 6386 del 2019.

Detto ciò si evince che il parametro dell’adeguatezza dei mezzi o della possibilità di procurarseli deve essere riferito sia alla possibilità di vivere autonomamente e dignitosamente, sia all’esigenza compensativa del coniuge più debole per le aspettative professionali sacrificate.

Lo squilibrio economico tra le parti e l’alto livello reddituale del coniuge destinatario della domanda non costituiscono da soli elementi decisivi per l’attribuzione e la quantificazione dell’assegno.

Dott.ssa Benedetta Cacace

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