SULLA DICHIARAZIONE DI ADOTTABILITA’

NECESSARIA L’INDAGINE SULL’ABBANDONO PER DICHIARARE L’ADOTTABILITÀ

Un minore può essere dichiarato “adottabile” dal Tribunale per i Minori, quando viene acclarata la sua condizione di abbandono da parte dei genitori, i quali quindi, lo privano della necessaria assistenza morale e materiale, purché tale condizione non sia connessa ad uno stato transitorio di forza maggiore (per esempio a causa di una malattia curabile).

Per la recente ordinanza della I Sezione della Cassazione civile n. 11466 del 3 maggio 2023, nei procedimenti prodromici alla dichiarazione di adottabilità, il Giudice deve indagare affondo lo stato di abbandono fisico e morale del minore e l’eventuale interesse dello stesso a non recidere il legame con i genitori naturali. In tal caso il Giudice deve valutare un regime di affidamento extrafamiliare o un’adozione “mite”, ossia la forma di adozione in cui vi è la possibilità di adottare un bambino mantenendo il contatto con i suoi genitori biologici.

Nel caso sotteso alla pronuncia in esame, una donna si era opposta alla pronuncia con cui il Tribunale per i minorenni aveva dichiarato lo stato di adottabilità della figlia, ma ogni suo sforzo veniva dichiarato non meritevole di accoglimento, anche dalla Corte di Cassazione.

In particolare la madre era stata condannata alla reclusione per sei anni e due mesi ed a una multa salata, per aver prostituito la figlia minorenne sfruttandone i guadagni. Dall’esperienza la giovane fanciulla ne era uscita devastata. Tramite una CTU si poteva infatti appurare che la stessa, proprio a causa del meretricio a cui la madre la costringeva, era rimasta incinta alla tenera età di 12 anni e la madre, con strumenti di cucina e senza le opportune misure igieniche e competenze tecniche, le aveva provocato un aborto.

Non solo, la giovane era anche stata violentata sessualmente da amici della madre mentre questa si trovava nella stanza accanto e veniva sfruttata in case di appuntamenti e seviziata quando si rifiutava di concedersi.

La Corte aveva deciso che non vi erano possibilità di recupero delle capacità genitoriali della madre in tempi compatibili con le esigenze di crescita della minore.

La stessa minore dichiarava apertamente tutti i problemi psicologici che le erano derivati dagli abusi e dal comportamento della madre e si diceva concorde per l’inserimento in comunità.

L’allontanamento definitivo dalla madre risultava quindi necessario per la sua sana crescita.

La donna, nella propria difesa, si dichiarava desiderosa di voler recuperare il rapporto con la figlia senza però dimostrarsi effettivamente consapevole dei bisogni della minore e lamentava, tra gli altri motivi, che l’accertamento dello stato di adottabilità della figlia non fosse “attuale”, senza però censurare con precisione le circostanze che la Corte d’Appello avrebbe mancato di valutare.

In proposito la Suprema corte rilavava che se

il giudice, nella valutazione della situazione di abbandono, quale presupposto per la dichiarazione dello stato di adottabilità, deve fondare il suo convincimento effettuando un riscontro attuale e concreto, basato su indagini ed approfondimenti riferiti alla situazione presente e non passata, tenendo conto della positiva volontà di recupero del rapporto genitoriale da parte dei genitori” (cfr. Cass. 1 dicembre 2015, n. 24445), perché la censura sia valutabile, occorre soddisfare il requisito della specificità.

Altra doglianza atteneva la presunta violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., giacché non era stata disposta la consulenza tecnica psicologica sul rapporto madre-figlia, senza che ne venisse data idonea motivazione.

Sul punto gli ermellini rilevavano che

ove i genitori facciano richiesta di una consulenza tecnica relativa alla valutazione della loro personalità e capacità educativa nei confronti del minore per contestare elementi, dati e valutazioni dei servizi sociali – ossia organi dell’Amministrazione che hanno avuto contatti sia con il bambino che con i suoi genitori – il giudice che non intenda disporre tale consulenza deve fornire una specifica motivazione che dia conto delle ragioni che la facciano ritenere superflua”,

ma tali ragioni ben possono ricavarsi dal complesso tessuto argomentativo della pronuncia e, nel caso di specie, il giudice del merito aveva ampiamente fornito puntuali e univoci elementi fattuali in sé rivelatori dell’incapacità genitoriale, tali da far apparire oggettivamente inutile un approfondimento istruttorio al riguardo.

Ancora, la donna lamentava la nullità e falsa applicazione degli artt. 8 CEDU, Cost., art. 30, l. n. 184 del 1983, art. 1, l. n. 184 del 1983, 315 bis, comma 2, c.c., 44, lett. d) e dei principi e delle norme che regolano la c.d. adozione mite, giacché il giudice di merito non avrebbe applicato correttamente le regole poste a fondamento del detto istituto, escludendo la misura a priori.

Sul punto la Suprema Corte rilevava che

nel procedimento volto alla dichiarazione di adottabilità, è necessario che l’indagine sulla condizione di abbandono morale e materiale sia completa e non trascuri alcun rilevante profilo inerente i diritti del minore, verificando, in particolare, se l’interesse di quest’ultimo a non recidere il legame con i genitori naturali debba prevalere o recedere rispetto al quadro deficitario delle capacità genitoriali, che potrebbe essere integrato, almeno in via temporanea, da un regime di affidamento extrafamiliare potenzialmente reversibile o sostituibile da un’adozione “mite” ex l. n. 184 del 1983, art. 44 (Cass. 1 luglio 2022, n. 21024). Infatti, il giudice chiamato a decidere sullo stato di abbandono del minore, e quindi sulla dichiarazione di adottabilità, deve accertare la sussistenza dell’interesse del minore a conservare il legame con i suoi genitori biologici, pur se deficitari nelle loro capacità genitoriali, perché l’adozione legittimante costituisce una extrema ratio cui può pervenirsi quando non si ravvisi tale interesse (Cass. 25 gennaio 2021, n. 1476; Cass. 13 febbraio 2020, n. 3643)”,

ma, nel caso di specie, era stata appurata l’inidoneità della madre al ruolo di genitore ed i gravi danni che la sua inettitudine avevano recato alla crescita della minore, al punto da rendere necessario la completa e definitiva  recisione del legame.

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Cass. civ., Sez. I, Ord., (data ud. 20.01.2023) 03.05.2023, n. 11466