RESPONSABILITÀ MEDICA E LA PROVA DEL NESSO DI CAUSALITÀ


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In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare il nesso di causalità tra l’evento di danno e l’azione o l’omissione dei sanitari, non potendosi predicare, rispetto a tale elemento della fattispecie, il principio della maggiore vicinanza della prova al debitore, in virtù del quale, invece, incombe su quest’ultimo l’onere della prova contraria solo relativamente alla colpa ex art. 1218 c.c.

Nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere del paziente dimostrare l’esistenza del nesso causale, provando che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del più probabile che non, causa del danno, sicché, ove la stessa sia rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata

Corte di Cassazione, sesta sezione civile, sentenza n. 21939 del 2019

Nel caso in cui si scopra una malattia, causata da un virus, diversi anni dopo un’operazione, chi è tenuto a provare il nesso causale?

Il Tribunale di primo grado aveva rigettato le domande attoree volte all’accertamento della responsabilità da parte della convenuta casa di cura, nell’infezione-trasmissione dell’epatite C, contratta in occasione del ricovero ospedaliero dell’attrice per un intervento di artoprotesi al ginocchio, e alla condanna di tale parte al risarcimento dei danni.

L’attrice era venuta a conoscenza della malattia solamente un anno dopo l’intervento, quando al fine di effettuare alcune cure odontoiatriche aveva espletato una serie di esami che avevano evidenziato marker di epatite virale in misura elevata.

La clinica, nel costituirsi in giudizio, aveva contestato che potesse ravvisarsi qualsiasi profilo di responsabilità professionale in capo ai sanitari, dato che la paziente aveva denunciato la malattia oltre un anno dopo le sue dimissioni e che, in occasione dell’intervento non le era stata effettuata alcuna trasfusione; inoltre i sanitari non avevano alcun obbligo di effettuare le analisi dei marcatori virali, non rientrando in nessun protocollo o direttiva internazionale.

I giudici nel disattendere le doglianze attoree avevano rilevato che, secondo costante orientamento giurisprudenziale

“grava sull’attore, paziente danneggiato, che agisce in giudizio deducendo l’inesatto adempimento della prestazione sanitaria oltre alla prova del contratto, anche quella dell’aggravamento della situazione patologica o l’insorgenza di nuove patologie nonché la prova del nesso di causalità tra l’azione o l’omissione del debitore e tale evento dannoso, allegando il solo inadempimento del sanitario. Resta a carico del debitore l’onere di provare l’esatto adempimento, cioè di avere tenuto un comportamento diligente”.

Nel caso di specie non essendovi stata trasfusione, l’attrice avrebbe dovuto provare l’assenza di infezione all’atto dell’intervento e l’ospedale di contro non aveva alcun obbligo di compiere indagini preventive.

L’attrice prima dell’operazione in questione si era sottoposta ad altri ben quattro interventi chirurgici e una colonscopia, avendo quindi avuto altre sei occasioni di possibile contagio, cui si devono aggiungere le cure odontoiatriche subite nel corso degli anni e il perdurante rischio di “infezione inapparente”.

Per tali motivo il Tribunale aveva concluso che  dovesse escludersi la responsabilità della struttura convenuta, non avendo l’attrice fornito la prova del nesso causale tra l’infezione e l’operato della struttura sanitaria.

La Corte d’Appello aveva confermato la decisione di primo grado, rigettando il ricorso proposto dalla paziente.

Nell’adire la Corte di Cassazione la ricorrente lamenta che i giudici di merito non avevano addossato l’onere di provare le preesistenza della patologia all’intervento alla struttura sanitaria.

Gli Ermellini hanno dichiarato inammissibile il ricorso, rammentando che:

“in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare il nesso di causalità tra l’evento di danno e l’azione o l’omissione dei sanitari, non potendosi predicare, rispetto a tale elemento della fattispecie, il principio della maggiore vicinanza della prova al debitore, in virtù del quale, invece, incombe su quest’ultimo l’onere della prova contraria solo relativamente alla colpa ex art. 1218 c.c.”.

Inoltre si deve precisare che

“nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere del paziente dimostrare l’esistenza del nesso causale, provando che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del più probabile che non, causa del danno, sicché, ove la stessa sia rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata”.

I principi sopra espressi devono essere ribaditi in questa sede, pertanto va affermato che

“nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere dell’attore, paziente danneggiato, provare l’esistenza del nesso causale tra la condotta del medico e il danno di cui chiede il risarcimento, onere che va assolto dimostrando che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del più probabile che non, la causa del danno, con la conseguenza che, se, al termine dell’istruttoria, non risulti provato il suddetto nesso tra condotta ed evento, la domanda deve essere rigettata”.

Dott.ssa Benedetta Cacace

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