REDDITO DI CITTADINANZA ED IL VENIR MENO DEI REQUISITI

SOTTO SEQUESTRO IL REDDITO DI CITTADINANZA PER MANCATA COMUNICAZIONE DEL CONIUGE – SEPPUR SEPARATO DI FATTO – E DELLA MISURA CAUTELARE APPLICATA AL FIGLIO

Il Reddito di Cittadinanza è stato introdotto con il decreto-legge n. 4 del 28 gennaio 2019 ed è una misura di contrasto alla povertà, consistente in una elargizione economica da parte dello Stato, per favorire il reinserimento nel mondo del lavoro e l’inclusione sociale dei cittadini. La misura assume il nome di Pensione di cittadinanza, se i componenti del nucleo familiare hanno età pari o superiore a 67 anni, oppure se nel nucleo familiare sono presenti anche persone di età inferiore a 67 anni in condizione di disabilità grave o non autosufficienza.

Il beneficio può essere erogato alle famiglie che, al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell’erogazione, risultano in possesso di determinati requisiti economici, di cittadinanza e di residenza.

In sostanza viene fornito al beneficiario, che accetti l’adesione di un percorso di accompagnamento al lavoro e di reinserimento sociale, una Carta di Reddito di Cittadinanza, che consente il pagamento in forma elettronica del sostegno.

L’ammontare del beneficio economico in esame, viene deciso sulla base di una sommatoria tra alcune componenti individuate sulla base delle informazioni rilevabili dall’ ISEE e dal modello di domanda.

Il parametro per la quantificazione del Reddito di Cittadinanza è pari a 1 per il primo componente del nucleo familiare ed è incrementato di 0,4 per ogni ulteriore componente maggiorenne e 0,2 per ogni ulteriore componente minorenne, fino a un massimo di 2,1. Tuttavia la scala di equivalenza non tiene conto dei componenti del nucleo familiare che si trovano in stato detentivo; sono ricoverati in istituti di cura di lunga degenza o altre strutture residenziali a totale carico dello Stato o di altra PA; sono disoccupati a seguito di dimissioni volontarie, nei 12 mesi successivi alla data delle dimissioni (fatte salve le dimissioni per giusta causa) o sono sottoposti a misura cautelare personale, nonché a condanna in via definitiva per i delitti previsti dagli artt. 270-bis, 280, 289-bis, 416-bis, 416-ter, 422 e 640 bis del codice penale.

La decadenza dal beneficio avviene, oltre allo spirare del termine dell’intero periodo dovuto, anche laddove venga a mancare uno dei requisiti economici necessari o anche laddove il richiedente violi gli obblighi di comunicazione.

In proposito risulta interessante la sentenza n. 37922 della III Sezione della Cassazione penale datata 13/04/2022 per cui

poiché beneficiario ex lege del reddito di cittadinanza non è il richiedente, ma il nucleo familiare, ed il valore economico si calcola proprio in relazione alla sua composizione, lo stato di detenzione sopravvenuto del familiare determina la riduzione dell’importo del beneficio economico. Dal momento che il d.l. n. 4 del 2019 art. 2 prevede che i requisiti per l’ottenimento del beneficio economico devono essere in possesso del nucleo familiare cumulativamente, al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, deve ritenersi che il non informare l’ente erogatore del sopravvenuto status detentivo di un componente del nucleo familiare rientri tra le “altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del benefici”, la cui omessa comunicazione è sanzionata dal d.l. n. 4 del 2019, art. 7 comma 2.”

Nella fattispecie sottesa alla pronuncia in esame, il Tribunale del Riesame confermava il decreto emesso dal G.I.P. del medesimo Tribunale, con cui era stato disposto il sequestro finalizzato alla confisca diretta di una somma nei confronti di una donna indagata del reato di cui al D.L. n. 4 del 2019 art. 7 commi 1 e 2, convertito dalla L. n. 26 del 2019, per aver reso false dichiarazioni in merito alla situazione anagrafica del proprio nucleo familiare e omesso di fornire informazioni dovute ai fini della revoca o della riduzione del beneficio, ottenendo indebitamente il reddito di cittadinanza. Secondo il capo di imputazione addebitato alla donna, la stessa non avrebbe infatti indicato nella propria domanda che nel proprio nucleo familiare era compreso anche il coniuge e, a beneficio ottenuto, ometteva di comunicare che il figlio era stato sottoposto a misura cautelare.

La donna quindi proponeva ricorso in Cassazione lamentando che il Tribunale del Riesame non aveva accertato l’elemento soggettivo del reato, anche specificando che la ricorrente ed il coniuge erano separati di fatto già dal 2017; l’erronea applicazione del D.L. n. 4 del 2019 art. 7 comma 2, giacché, con riferimento all’omissione della comunicazione dell’applicazione della misura cautelare al figlio, il G.I.P. prima e il Tribunale poi, avrebbero dovuto indicare la fattispecie penale per la quale era stata applicata la detta misura cautelare, giacché per l’appunto al giovane erano stati applicati gli arresti domiciliari in ordine al reato di cui all’art. 337 c.p., non menzionato nel D.L. n. 4 del 2019 art. 7 comma 3 e per inosservanza degli art. 321 comma 2 c.p.p. e 2641 c.c., atteso che veniva disposta la misura cautelare reale senza alcun accertamento della natura delle somme sequestrate che ben potevano derivare dalla retribuzione lavorativa percepita dall’indagata, la quale era impiegata come addetta alle pulizie.

Nemmeno il Tribunale (così come il GIP) avrebbe valutato che alla ricorrente ed alla sua famiglia, fosse assicurato il cd. “minimo vitale” in conseguente violazione del principio di solidarietà sociale sancito dall’art. 2 Cost.

La Suprema Corte tuttavia riteneva il ricorso infondato richiamando innanzitutto un precedente costante orientamento per cui (cfr. Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656):

il ricorso per Cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio, ai sensi dell’art. 325 c.p.p., è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice”.

Invece, nel caso di specie il Tribunale del Riesame avrebbe illustrato le ragioni poste a fondamento della propria decisione, attraverso una valutazione critica delle risultanze investigative concernenti gli esiti dell’attività compiuta dalla Guardia di Finanza.

Con riferimento all’eccezione attinente la già avvenuta separazione di fatto tra la ricorrente ed il coniuge, la Suprema Corte riteneva la circostanza inconferente giacché:

al momento della presentazione della richiesta di accesso al beneficio, la C. era ancora sposata con il marito C.V., essendo intervenuta l’omologa della separazione consensuale solo in data 27 novembre 2019; ciò rileva ai fini della definizione del nucleo familiare, posto che D.L. n. 4 del 2019 art. 2 comma 5 richiama il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013 (“regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell’Indicatore della situazione economica equivalente, ISEE)”, il cui art. 3 comma 3 precisa che i coniugi che hanno diversa residenza anagrafica costituiscono nuclei familiari distinti esclusivamente in casi limitati, uno dei quali si configura “quando è stata pronunciata separazione giudiziale o è intervenuta l’omologazione della separazione consensuale ai sensi dell’art. 711 del codice di procedura civile, ovvero quando è stata ordinata la separazione ai sensi dell’art. 126 del codice civile”, ipotesi queste pacificamente non ravvisabili nella vicenda in esame, per cui le circostanze di fatto indicate nel ricorso non appaiono di per sì decisive, a fronte del contesto normativo di riferimento, la cui univocità non lascia spazio a profili di giustificabile inconsapevolezza della condotta illecita.”

Con riguardo invece alla mancata comunicazione dell’applicazione della misura cautelare al figlio della ricorrente, gli Ermellini specificavano che:

poiché beneficiario ex lege del reddito di cittadinanza non è il richiedente, ma il nucleo familiare, ed il valore economico si calcola proprio in relazione alla sua composizione, lo stato di detenzione sopravvenuto del familiare determina la riduzione dell’importo del beneficio economico. (…) ai fini dell’eventuale riduzione del beneficio, rileva la sottoposizione del familiare a misura cautelare, a prescindere dal titolo di reato da cui dipende l’applicazione della misura, riferendosi il novero dei delitti indicati all’art. 7, comma 3 non alla mera sottoposizione a misura cautelare, che dunque può essere ricollegabile a qualunque fattispecie rilevante a tal fine, ma ai solo casi di condanna che, ove non definitiva, comporta la riduzione del sussidio economico e, ove definitiva, determina la immediata revoca del beneficio, con efficacia retroattiva e restituzione di quanto percepito.”

Dunque, giacché per l’erogazione del reddito di cittadinanza, i requisiti devono essere in possesso di tutto il nucleo familiare, sia al momento della presentazione della domanda, che per tutta la durata dell’erogazione, l’omessa comunicazione del sopravvenuto status detentivo di un componente del nucleo familiare, rientra

tra le “altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del benefici”, la cui omessa comunicazione è sanzionata dal D.L. n. 4 del 2019 art. 7 comma 2”.

Sottolineava la Suprema Corte che gli oneri informativi a carico del cittadino sono espressione del principio di leale cooperazione tra cittadino e amministrazione che mirano al corretto funzionamento della misura di riequilibrio sociale.

Con riferimento al terzo motivo, la Corte rilevava che la somma oggetto di confisca fosse equivalente al profitto percepito dalla ricorrente per effetto della condotta oggetto della provvisoria imputazione e dunque la misura applicata risultava legittima anche considerato l’orientamento della Corte stessa (si veda sul punto sentenza n. 42415 del 27/05/2021, Rv. 282037), per cui:

la confisca del denaro costituente profitto o prezzo del reato, comunque rinvenuto nel patrimonio dell’autore della condotta, e che rappresenti l’effettivo accrescimento patrimoniale monetario conseguito, va sempre qualificata come diretta, e non per equivalente, in considerazione della natura fungibile del bene, con la conseguenza che non è ostativa alla sua adozione l’allegazione o la prova dell’origine lecita della specifica somma di denaro oggetto di apprensione”.

In conclusione la Suprema Corte rigettava il ricorso, condannando la ricorrente alle spese del procedimento.

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Cassazione penale sez. III, 13.04.2022, (ud. 13.04.2022, dep. 07.10.2022), n.37922